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Il tempo invecchia in fretta – Antonio Tabucchi

Il tempo invecchia in frettaIl tempo invecchia in fretta edito Feltrinelli è una raccolta di nove racconti – ambientati da Berlino a Istanbul, da Varsavia a Bucarest – che intrecciano il tempo reale con il tempo della storia e con il tempo interiore.
Il titolo, bellissimo e suggestivo, è tratto dalla seconda parte del frammento presocratico attribuito a Crizia, riportato nell’originale greco antico: “Inseguendo l’ombra, il tempo invecchia in fretta”.
Il tempo è il filo conduttore che tiene insieme tutte le storie e con il quale i protagonisti sono impegnati a confrontarsi: il tempo che hanno vissuto o che stanno vivendo e quello della memoria o della coscienza. Il sentimento predominante di queste nove storie è la nostalgia nel suo significato etimologico come “dolore di un ritorno” che però è impossibile.
Il tempo non passa, invecchia, raggrinzisce, svanisce… E’ un tempo che passa, tra sogni e incubi e poi si ferma, torna indietro e rende inquieto, angoscioso il presente, che torna a fuggire via. Storie di personaggi dalla psicologia complessa che vanno a comporre il volto del nostro tempo “impietoso e futile”, tempo in cui – dice Tabucchi – “Hiroshima ha dimostrato che non siamo eterni e che possiamo essere spazzati via in un secondo”.

“In questi nove racconti si incontra il migliore Tabucchi. Quello che ti spiazza ad ogni pagina, che sa costruire mondi e vite in poche frasi, che sa affacciarsi al bordo del baratro della vita senza il timore di venirne sconvolto. Immaginario e realtà convivono nello stesso ambito narrativo. È il Tabucchi che sa inoltrarsi nei sentieri della narrazione con l’andatura allampanata del suo amato Pessoa e con la forza e la profondità che è data a pochi”.
Claudio Baroni

Pensò ai venti della vita, perché ci sono venti che accompagnano la vita: lo zefiro soave, il vento caldo della gioventù che poi il maestrale si incarica di rinfrescare, certi libecci, lo scirocco che accascia, il vento gelido di tramontana.
Aria, pensò, la vita è fatta d’aria, un soffio e via, e del resto anche noi non siamo nient’altro che un soffio, respiro, poi un giorno la macchina si ferma e il respiro finisce.


Racconti:
Clof, clop, cloffette, cloppette

(C’è un nipote adulto al capezzale di una zia morente. In televisione passano fotogrammi del Grande Fratello. Dice la zia in un sospiro)
«Educare il popolo è tempo perso, del resto questo popolo ora ha fatto i soldi e lo ha educato il Grande Fratello, per questo lo votano, è un circolo vizioso, votano chi li ha educati».

[…]

«E in quel silenzio lui ascoltava la voce che gli sussurrava all’orecchio, curvo in avanti, curiosamente il dolore alla schiena era cessato e dietro quella voce così flebile stava navigando in un se stesso che aveva perduto, avanti e indietro come un aquilone su cui stava seduto, cominciò ad avvistare: un triciclo, la voce di una trasmissione serale della radio, una madonna che tutti dicevano che piangeva, una bambina di una famiglia di “sfollati”, con i fiocchi nelle treccine, che saltellando su un disegno di gesso tracciato per terra esclamava: casella uno pane e salame!, e altre cose così, la zia ormai parlava nel buio perché anche la luce bassa del soffitto era stata spenta, restava solo quella azzurrina sopra il letto e la lama di un neon livido che filtrava dalla fessura della porta. Lei chiuse gli occhi e tacque, pareva esausta. Lui si raddrizzò sulla sedia e sentì un dolore acuto fra le vertebre, come una spilla. Si è addormentata, pensò, ora si è addormentata davvero. Invece lei gli sfiorò la mano e gli fece cenno di avvicinarsi di nuovo. Ferruccio, sentì che diceva il soffio, ti ricordi com’era bella l’Italia?».

Nuvole
– Stai qui all’ombra tutto il giorno, disse la ragazzina, non ti piace fare il bagno?
L’uomo fece un vago cenno con la testa che poteva sembrare un sì e un no, ma non disse niente.

– Ti posso dare del tu?, chiese la ragazzina.

– Se non mi sbaglio me l’hai già dato, disse l’uomo sorridendo.

– Nella mia classe diamo del tu anche ai grandi, disse la ragazzina, alcuni professori ce lo permettono, ma i miei genitori me l’hanno proibito, dicono che è da maleducati, lei che ne pensa?

– Penso che hanno ragione, rispose l’uomo, ma puoi darmi del tu, non lo dirò a nessuno.

– Non ti piace fare il bagno?, chiese lei, io lo trovo singolare.

– Singolare?, ripeté l’uomo.

– La mia professoressa ci ha spiegato che non si può usare carinissimo per ogni cosa, che in certi casi si può dire singolare, facevo per dire carinissimo, io fare il bagno su questa spiaggia lo trovo singolare.

— Ah, disse l’uomo, sono d’accordo, anche secondo me è carinissimo, perfino singolare.

— Anche prendere il sole è carinissimo, continuò la ragazzina, i primi giorni ho dovuto mettere la protezione quaranta, poi sono passata a venti, e ora posso usare l’abbronzante dorante, quello che fa scintillare la pelle come se ci fossero pagliuzze dorate, vede?, ma perché lei è così bianco?, è arrivato da una settimana e sta sempre sotto l’ombrellone, non le piace neppure il sole?

— Lo trovo carinissimo, disse l’uomo, giuro, secondo me prendere il sole è carinissimo.

— Ha paura di scottarsi?, chiese la ragazzina.

— Tu che ne pensi?, rispose l’uomo.

— Io penso che lei ha paura di scottarsi, ma se uno non comincia piano piano, non si abbronza mai.

— È vero, confermò l’uomo, mi sembra logico, ma credi che sia obbligatorio abbronzarsi?

La ragazzina rifletté.

— Proprio obbligatorio no, niente è obbligatorio, a parte le cose obbligatorie, ma se uno viene al mare, non fa il bagno e non si abbronza, cosa ci viene a fare al mare?

— Sai una cosa?, disse l’uomo, tu sei una ragazza logica, hai il dono della logica, e questo è carinissimo, secondo me oggigiorno il mondo ha perso la logica, è un vero piacere incontrare una ragazza con logica, posso avere il piacere di fare la tua conoscenza, come ti chiami?

— Mi chiamo Isabella, però gli amici intimi mi chiamano Isabèl, ma con l’accento sulla e, non come gli italiani che dicono Ìsabel con l’accento sulla i.

— Perché, tu non sei italiana?, chiese l’uomo.

— Certo che sono italiana, obiettò lei, italianissima, ma al nome che mi danno gli amici ci tengo, perché in televisione dicono sempre Mànuel o Sebàstian, io sono italianissima come lei e magari più di lei, ma mi piacciono le lingue e so anche l’inno di Mameli a memoria, quest’anno il presidente della repubblica è venuto a visitare la nostra scuola e ci ha parlato dell’importanza dell’inno di Mameli, che è la nostra identità italiana, c’è voluto tanto tempo per fare l’unità del nostro paese, a me per esempio quel signore della politica che vuole abolire l’inno di Mameli non mi piace.

L’uomo non disse niente, teneva le palpebre socchiuse, la luce era intensa e l’azzurro del mare si confondeva con quello del cielo, come avesse inghiottito la linea dell’orizzonte.

— Forse non ha capito a chi mi riferisco, disse la ragazzina rompendo il silenzio.

L’uomo non parlò, la ragazzina sembrò esitare, con un dito faceva ghirigori sulla sabbia.

— Non vorrei che lei fosse del suo partito, continuò poi come facendosi coraggio, a casa mi hanno insegnato che bisogna sempre rispettare le opinioni altrui, però a me l’opinione di quel signore non mi piace, mi sono spiegata?

— Perfettamente, disse l’uomo, bisogna rispettare le opinioni altrui ma non mancare di rispetto alle proprie, soprattutto non mancare di rispetto alle proprie, e perché quel signore non ti piace?

– Oh be’…, Isabella parve esitare. A parte il fatto che quando parla in televisione gli viene una schiumina bianca agli angoli della bocca, ma questo sarebbe trascurabile, è che dice un sacco di parolacce, l’ho sentito con le mie orecchie, e se le dice lui mi chiedo perché mi sgridano quando le dico io, però per fortuna il presidente della repubblica è più importante di lui, altrimenti non sarebbe presidente della repubblica, e lui ci ha spiegato che l’inno di Mameli dobbiamo rispettarlo e cantarlo come lo canta la nazionale ai campionati del mondo, con la mano sul cuore, a scuola lo abbiamo cantato insieme al presidente, noi leggevamo sulle fotocopie distribuite dalla professoressa ma lui non leggeva, lo sapeva a memoria, io lo trovo carinissimo, non le pare?

– Praticamente singolare, confermò l’uomo. Frugò nel sacco che teneva accanto alla sdraio, prese un flacone di vetro e si mise in bocca una compressa bianca.

– Parlo troppo?, chiese lei, in casa dicono che parlo troppo e rischio di dar fastidio, le sto dando fastidio?

– Niente affatto, rispose l’uomo, quello che dici è addirittura singolare, continua pure.

– E poi il presidente ci ha fatto una lezione di storia, perché come lei saprà la storia moderna a scuola non si studia, in terza media i professori più bravi riescono ad arrivare fino alla prima guerra mondiale, altrimenti ci si ferma a Garibaldi e all’unità d’Italia, noi invece abbiamo imparato un sacco di cose moderne, perché la professoressa è stata brava brava, ma il merito è del presidente, perché è lui che ha dato l’input.

– Cos’ha dato?, chiese l’uomo.

– Si dice così, spiegò Isabella, è una parola nuova, vuol dire uno che comincia e trascina gli altri, se vuole le ripeto quello che ho imparato, davvero un sacco di cose che conoscono in pochi, le vuoi sapere?

L’uomo non rispose, teneva gli occhi chiusi ed era completamente immobile.

– Si è addormentato?, Isabella aveva un tono timido, come dispiaciuto.

– Mi scusi, forse l’ho fatta addormentare a furia di chiacchiere, è anche per questo che i miei genitori non mi hanno voluto comprare il cellulare, dicono che gli arriverebbe un conto astronomico con tutto quello che parlo, sa, in casa nostra non ci possiamo permettere il superfluo, mio padre è architetto ma lavora per il comune, e quando uno lavora per il comune…

– Tuo padre è un uomo fortunato, disse l’uomo senza aprire gli occhi.

Ora parlava a voce bassa, come se sussurrasse.

– Sia come sia, continuò, la professione di costruire case è bellissima, molto meglio della professione di distruggerle.

Isabella dette un gridolino di sorpresa.

– Dio mio, esclamò, c’è anche la professione di distruggere le case?, non lo sapevo, questo a scuola non si impara.

— Insomma, disse l’uomo, non è che sia proprio una professione, si può anche apprendere in maniera teorica, come all’accademia militare, però poi arrivano dei momenti in cui una certa sapienza si deve mettere in pratica, e tutto sommato lo scopo è quello, distruggere case.

– E lei come lo sa?, chiese Isabella.

– Lo so perché sono un militare, rispose l’uomo, o meglio, lo ero, ora sono in pensione, diciamo così.

– Ma allora lei distruggeva le case?

– Non mi davi del tu?, replicò l’uomo.

Isabella non rispose subito.

– È che per natura sono timida anche se non sembra perché parlo troppo, le avevo chiesto se prima anche tu distruggevi le case.

– Personalmente no, disse l’uomo, e neanche i miei soldati, a essere sincero, la mia era una missione bellica di pace, da spiegare è un po’ complicato, soprattutto in una giornata come questa, però, Isabèl, ti vorrei dire una cosa che forse a scuola non ti hanno detto, in fondo in fondo la storia si riassume a questo: ci sono uomini come tuo padre che per professione le case le costruiscono e uomini del mio mestiere che le case le distruggono, e la faccenda va avanti in questo modo da secoli, alcuni costruiscono le case e altri le distruggono, costruire, distruggere, costruire, distruggere, è un po’ noioso, non ti pare?

– Noiosissimo, rispose Isabella, davvero noiosissimo, se non ci fossero gli ideali, per fortuna ci sono gli ideali.

– Certo, confermò l’uomo, per fortuna nella storia ci sono gli ideali, te lo ha detto il presidente o la professoressa?

Isabella sembrò riflettere.

– Ora non saprei bene chi lo ha spiegato.

– Magari è il presidente che ha dato l’input, disse l’uomo, e cosa mi sai dire degli ideali?

– Che sono tutti rispettabili se uno ci crede, rispose Isabella, per esempio in quello della patria, poi magari uno si sbaglia perché è giovane, però se è in buona fede l’ideale è valido.

– Ah, disse l’uomo, è una cosa su cui devo riflettere, ma non mi pare la giornata adatta, oggi fa un gran caldo e il mare mi sembra così invitante.

– Allora fatti un bagno, lo pungolò lei.

– Non ne ho molta voglia, rispose l’uomo.

– È perché non sei motivato, secondo me il tuo è stress, non puoi immaginare l’effetto negativo dello stress sul nostro spirito, l’ho letto in un libro che mia madre ha sul comodino, vuoi che ti vada a prendere qualcosa al bar dell’albergo, qualcosa per combattere lo stress?, purché non sia una Coca-Cola, quella mi rifiuto.

– Questa me la devi spiegare, me la devi proprio spiegare, disse l’uomo.

– Perché la Coca-Cola e il McDonald’s sono la rovina dell’umanità, disse Isabella, lo sanno tutti, nella mia scuola lo sanno persino i bidelli.

L’uomo frugò nella borsa e prese un’altra compressa.

– Quanta roba prendi, esclamò Isabella.

– Ho una scala oraria, disse l’uomo, me lo impone la ricetta medica.

– Secondo me tutte queste pasticche ti fanno male, affermò lei con convinzione, gli italiani consumano un sacco di pasticche, lo ha detto anche la televisione, invece l’importante è sintonizzare il nostro spirito con le forze positive che ci sono nell’universo, per questo certi cibi e certe bibite sono da evitare, perché trasmettono energia negativa, non sono naturali, mi spiego?

– Isabèl, ti posso dire una cosa in confidenza?

L’uomo si passò un fazzoletto sulla fronte. Sudava.

– La Coca-Cola e il McDonald’s non hanno mai portato nessuno ad Auschwitz, in quei campi di sterminio di cui a scuola ti avranno parlato, invece gli ideali sì, ci avevi mai pensato, Isabèl?

– Ma quelli erano nazisti, obiettò Isabella, gente orribile.

– Perfettamente d’accordo, disse l’uomo, i nazisti erano gente davvero orribile, ma anche loro avevano un ideale e facevano la guerra per imporlo, dal nostro punto di vista era un ideale perverso, ma dal loro no, in quell’ideale avevano una grande fede, agli ideali bisogna starci attenti, che ne dici, Isabèl?

– Ci devo pensare, rispose la ragazzina, magari ci penserò a pranzo, sono le dodici e mezzo, fra poco servono il pranzo, tu non vieni?


Il tempo invecchia in fretta, Antonio Tabucchi – Feltrinelli