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Uomini e no – Elio Vittorini

Elio Vittorini - Uomini e no 
“Uomini e no” . Scritto tra la primavera e l’autunno del 1944, ma pubblicato solo nel giugno 1945, è probabilmente il primo romanzo sulla resistenza. 
Il libro contiene un’analisi psicologica, più che storica, della resistenza italiana, della “guerra civile” esplosa dopo l’armistizio dell’8 settembre.
La narrazione accosta mirabilmente gli aspetti bellici in senso stretto, le crudeltà atroci del conflitto, le spaventose contraddizioni di una guerra interna che poneva in conflitto anche persone che avevano, in tempo di pace, convissuto amichevolmente, con gli elementi psicologici ad esso connessi (il protagonista, Enne 2, un partigiano, tra un’uccisione e una strage si chiede quale sia il “senso della vita”, in che cosa consista lo stare al mondo, se valga la pena vivere in quel modo, che cosa sia la felicità, quale sia la natura dell’essere umano).
Sotto il profilo stilistico, Uomini e no è un romanzo essenziale, ispirato da una forte vena poetica, ricco di simboli, di allusioni, di malinconia struggente.

Una lettura necessaria, ferisce ma fa bene all’anima.

Chi aveva colpito non poteva colpire di più nel segno. In una bambina e in un vecchio, in due ragazzi di quindici anni, in una donna, in un’altra donna: questo era il modo migliore di colpire l’uomo. Colpirlo dove l’uomo era più debole, dove aveva l’infanzia, dove aveva la vecchiaia, dove aveva la sua costola staccata e il cuore scoperto: dove era più uomo.

Estratto:

I morti di largo Augusto non erano cinque soltanto; altri ve n’erano sul marciapiede dirimpetto; e quattro erano sul corso di Porta Vittoria; sette erano nella piazza delle Cinque giornate, ai piedi del monumento.
Cartelli dicevano dietro ogni fila di morti: Passati per le armi. Non dicevano altro, e tra i morti c’erano due ragazzi di quindici anni. C’era anche una bambina, c’erano due donne e un vecchio dalla barba bianca. La gente andava per il largo Augusto e il corso di Porta Vittoria fino a piazza delle Cinque Giornate, vedeva i morti al sole su un marciapiede, i morti all’ombra su un altro marciapiede, poi i morti sul corso, i morti sotto il monumento, e non aveva bisogno di saper altro. Guardava le facce morte, i piedi ignudi, i piedi nelle scarpe, guardava le parole dei cartelli, guardava i teschi con le tibie incrociate sui berretti degli uomini di guardia, e sembrava che comprendesse ogni cosa.
Come? Anche quei due ragazzi di quindici anni? Anche la bambina? ogni cosa? per questo, appunto, sembrava anzi che comprendesse ogni cosa. Nessuno si stupiva di niente. nessuno domandava spiegazioni. E nessuno si sbagliava.
C’era, tra la gente, il Gracco. C’erano Orazio e Metastasio; Scipione; Mambrino. Ognuno era per suo conto, come ogni uomo che era nella folla. C’era Barca Tartaro.Passò, un momento, anche El paso. C’era Figlio-di-Dio. E c’era Enne 2.
Essi, naturalmente, comprendevano ogni cosa; anche il perché delle donne, della bambina, del vecchio, dei due ragazzi; ma ogni uomo ch’era nella folla sembrava comprendere come ognuno di loro: ogni cosa.
Perché? Il Gracco diceva.
Una delle due donne era avvolta nel tappeto di un tavolo. L’altra, sotto il monumento, sembrava che fosse cresciuta, dopo morta, dentro il suo vestito a pallini: se lo era aperto lungo il ventre e le cosce, dal seno alle ginocchia; e ora lasciava vedere il reggicalze rosa, sporco di vecchio sudore, con una delle giarrettiere che pendeva attraverso la coscia dove avrebbe dovuto avere le mutandine. Perché quella donna nel tappeto? perché quell’altra?
E perché la bambina? Il vecchio? I due ragazzi?
Il vecchio era ignudo, senz’altro che la lunga barba bianca a coprire qualcosa di lui, il colmo del petto; stava al centro dei sette allineati ai piedi del monumento, non segnato da proiettili, ma livido nel corpo ignudo, e le grandi dita dei piedi nere, le nocche delle mani nere, le ginocchia nere, come se lo avessero colpito, così nudo, con armi avvelenate di freddo.
I due ragazzi, sul marciapiede all’ombra di largo Augusto, erano invece sotto una coperta. Una in due, e stavano insieme, nudi i piedi fuori della coperta, e in faccia serii, non come i morti bambini, con paura, con tristezza, ma serii da grandi, come i morti grandi vicino ai quali si trovavano.
E perché loro?
Il Gracco vide, dov’era lui, Orazio e Metastasio. Con chi aveva parlato, nella vigilia dell’automobile, di loro due?
Con l’uno o con l’altro, egli aveva parlato tutta la sera, sempre conversava con chi si incontrava, e ora lo stesso parlava, conversava, come tra uomo e uomo si fa, o come un uomo fa da solo, di cose che sappiamo e a cui pur cerchiamo una risposta nuova, una risposta strana, una svolta di parole che cambi il corso, in un modo o nell’altro, della nostra consapevolezza.
Li guardò, dal lato suo dell’angolo che passava attraverso i morti, e una piccola ruga venne, rivolta a loro insieme allo sguardo, in mezzo alle labbra di quella sua faccia dalle tempie bianche.
Orazio e Metastasio gli risposero quasi allo stesso modo. Come se lui avesse chiesto: E perché loro? Mossero nello stesso modo la faccia, e gli rimandarono la domanda: E perché loro?
Ma c’era anche la bambina.
Più giù, tra i quattro del corso, dagli undici o dodici anni che aveva mostrava anche lei la faccia adulta, non di morta bambina, come se nel breve tempo che l’avevano presa e messa al muro avesse di colpo fatta la strada che la separava dall’essere adulta. La sua testa era piegata verso l’uomo morto al suo fianco, quasi recisa nel collo dalla scarica dei mitragliatori e i suoi capelli stavano nel sangue raggrumati, la sua faccia guardava seria la seria faccia dell’uomo che pendeva un poco dalla parte di lei.
Perché lei anche?
Gracco vide passare un altro degli uomini che aveva conosciuto la sera prima, il poiccolo Figlio-di-Dio, e fu un minuto con lui nella sua conversazione eterna. Rivolse a lui il movimento della sua faccia, quella ruga improvvisa in mezzo alle labbra, quel suo sguardo d’uomo dalle tempie bianche; e Figlio-di-Dio fece per avvicinarglisi.
Ma poi restò dov’era. Perché lei? il Gracco chiedeva. E Figlio-di-Dio rispose nello stesso modo, guardandolo. Gli rimandò pure lui la domanda: Perché lei?
Perché? la bambina esclamò. Come perché? perché sì! Tu lo sai e tutti lo sapete. Tutti lo sappiamo. E tu lo domandi?
Essa parlò con l’uomo morto che gli era accanto.
Lo domandano, gli disse. Non lo sanno?
Sì, sì, l’uomo rispose. Io lo so. Noi lo sappiamo.
Ed essi no? la bambina disse. Essi pure lo sanno.
Vero, disse il Gracco. Egli lo sapeva, e i morti glielo dicevano. Chi aveva colpito non poteva colpire di più nel segno. In una bambina e in un vecchio, in due ragazzi di quindici anni, in una donna, in un’altra donna: questo era il modo migliore di colpir l’uomo. Colpirlo dove l’uomo era più debole, dove aveva l’infanzia, dove aveva la vecchiaia, dove aveva la sua costola staccata e il cuore scoperto: dov’era più uomo. Chi aveva colpito voleva essere il lupo, far paura all’uomo. Non voleva fargli paura? E questo modo era il migliore che credesse di avere il lupo per fargli paura.
Però nessuno, nella folla, sembrava aver paura.
Aveva paura il Gracco? O Figlio-di-Dio? Scipione? Barca Tartaro? Non potevano averne. O poteva averne Enne 2? Non poteva averne. Allo stesso modo ogni uomo ch’era nella folla non aveva paura. Ognuno, appena veduti i morti, era come loro, e comprendeva ogni cosa come loro, non aveva paura come non ne avevano loro. Avrebbe anche potuto essere stato con loro, la sera prima. Poteva anche conversare col Gracco.
il Gracco conversava, infatti, con ognuno.
Era dinanzi ai morti, uno incontrava la sua faccia, e a lui veniva, nel mezzo delle labbra, quella piccola ruga. perché, tu dici? Questo il Gracco diceva: Perché, tu dici?
Perché? l’altro diceva. certo che lo dico. Non debbo dirlo? 
Puoi dirlo se lo vuoi, diceva il Gracco.
E la donna? l’altro diceva. Lo dico sì. Perché la donna?
Oppure: Perché la bambina?
Oppure: Perché questi due ragazzi?
Diceva allora il Gracco: E quest’uomo no? Perché quest’uomo?
Era un uomo alto, di cui non si vedeva la faccia. Si vedevano le sue gambe, forti, coi lunghi muscoli di uomo nel fiore degli anni, le scarpe ai piedi messe senza le calze, e, per il resto, in mutande e camicia. Aveva scuri i polsi, e le mani chiuse di uno che stia stringendo i denti. Ma sulla faccia gli era stata gettata una giacca.
Perché Era come per nascondere un tradimento che gli si fosse fatto, a lui nel fiore degli anni, peggiore che agli altri. perché quest’uomo? diceva il Gracco.
E quello che parlava con lui: Già. Perché?
Il Gracco lo diceva di ognuno dei morti. Gli veniva la ruga in mezzo alle labbra, guardava, e quello guardava allo stesso modo. Ogni uomo morto era come la bambina. Una cosa si sapeva per tutti i morti, e se si cercava una risposta nuova, parole che cambiassero il corso della nostra consapevolezza, non si poteva chiedere che perché per tutti insieme.”

Elio Vittorini, “Uomini e no”, capp. LXIII e LXI