“Memorie di Adriano” è pubblicato nel 1951 ma il suo concepimento, e parte della scrittura, avviene tra il 1924 e il 1929, ovvero tra i venti e venticinque anni della Yorcenaur. Quanto detto è documentato nell’opera di approfondimento del libro, “Taccuini di appunti” sulla genesi del romanzo (annotazioni di studio, lampi di autobiografia, ricordi, vicissitudini della scrittura).
“Memorie di Adriano”, è al tempo stesso romanzo, saggio storico e un’opera di poesia; descrive la storia di Adriano, uno dei più illuminati reggenti dell’Impero Romano. La Yorcenaur si immedesima nella figura di questo grande Imperatore in modo del tutto nuovo ed originale: immagina di fare scrivere ad Adriano una lunga lettera nella quale parla della sua vita di imperatore all’amico Marco Aurelio che poi diventerà suo nipote adottivo.
La lettera è scritta in forma epistolare e si suddivide in sei capitoli. Adriano, figura carismatica, dall’individualità unica e irripetibile, si racconta partendo dalla sua vecchiaia attraverso una visione complessiva sulla sua vita e sul mondo. Ne emerge la figura di un uomo moderno e libero, colto, viaggiatore (infatti trascorse gran parte del suo regno visitando tutte le provincie dell’Impero), pacifico (combattè solo in difesa dei propri territori), poeta, amante della natura e cultore delle arti, inquieto, profondamente consapevole dei propri limiti, saggio e dotato di grande spiritualità.
Il romanzo si chiude con una poesia scritta realmente dall’Imperatore Adriano:
“Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più… Cerchiamo d’entrare nella morte a occhi aperti…“..
Un romanzo bellissimo e straordinario. Da leggere assolutamente. Per dirla con Thomas Mann: “In questo momento sono sotto l’influenza di Memorie di Adriano, un’opera poetica piena di erudizione che mi ha incantato come nessuna lettura aveva fatto da molto tempo.”.
Il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato uno sguardo consapevole su se stessi:
la mia prima patria sono stati i libri.
Estratto:
Confesso che la ragione si smarrisce di fronte al prodigio dell’amore, strana ossessione che fa sì che questa stessa carne, della quale ci curiamo tanto poco quando costituisce il nostro corpo, preoccupandoci unicamente di lavarla, di nutrirla, e fin dov’è possibile – d’impedirle che soffra, possa ispirarci una così travolgente sete di carezze sol perché è animata da una individualità diversa dalla nostra, e perché è dotata più o meno di certi attributi di bellezza su i quali, del resto, anche i giudici migliori son discordi. Di fronte all’amore, la logica umana è impotente, come in presenza delle rivelazioni dei Misteri: non s’è ingannata la tradizione popolare, che ha sempre ravvisato nell’amore una forma di iniziazione, uno dei punti ove il segreto e sacro s’incontrano. E per un altro aspetto ancora, l’espressione sensuale si può paragonare ai Misteri, in quanto il primo contatto appare al non iniziato un rito più o meno pauroso, violentemente diverso dalle funzioni consuete del sonno, del bere e del mangiare, oggetto di scherno, di vergogna o di terrore. L’amore, non altrimenti della danza delle Menadi e del delirante furore dei Coribanti, ci trascina in un universo insolito, ove in altri momenti è vietato avventurarci, e dove cessiamo di orientarci non appena l’ardore si spegne e il piacere si placa. Avvinto al corpo amato come un crocifisso alla sua croce, ho appreso sulla vita segreti che ormai si dileguano nei ricordi, per opera di quella stessa legge che impone al convalescente guarito di dimenticare le verità misteriose del suo male; al prigioniero, una volta libero, di obliare la tortura, e al trionfatore la gloria, quando l’ebbrezza del trionfo è svanita.
A volte, ho sognato di elaborare un sistema di conoscenza umana basata sull’erotica: una teoria del contatto, nella quale il mistero e la dignità altrui consisterebbero appunto nell’offrire al nostro Io questo punto di riferimento d’un mondo diverso. In questa filosofia, la voluttà rappresenterebbe una forma più completa, ma anche più caratterizzata dei contatti con l’Altro, una tecnica in più messa al servizio della conoscenza del non Io. Anche nei rapporti più alieni dai sensi, l’emozione sorge o si attua proprio nel contatto: la mano ripugnante di quella vecchia che mi sottopone una supplica, la fronte madida di mio padre nei suoi ultimi istanti, la piaga detersa di un ferito, persino i rapporti più intellettuali e più anodini si istituiscono attraverso questo sistema di segnali del corpo.
[…] Con la maggior parte degli esseri umani, i più lievi, i più superficiali di questi contatti, bastano o persino superano l’attesa; ma se essi si ripetono, si moltiplicano attorno a un unico essere sino ad avvolgerlo interamente; se ogni particella del colpo umano si impregna per noi di tanti significati conturbanti quante sono le fattezze del suo volto; se un essere solo, anziché ispirarci tutt’al più irritazione, piacere o noia, ci insegue come una musica e ci tormenta come un problema, se trascorre dagli estremi confini al centro del nostro universo, e infine ci diviene più indispensabile che noi stessi, ecco verificarsi il prodigio sorprendente, nel quale ravviso ben più uno sconfinamento dello spirito nella carne che un mero divertimento di quest’ultima».
[…] Con la maggior parte degli esseri umani, i più lievi, i più superficiali di questi contatti, bastano o persino superano l’attesa; ma se essi si ripetono, si moltiplicano attorno a un unico essere sino ad avvolgerlo interamente; se ogni particella del colpo umano si impregna per noi di tanti significati conturbanti quante sono le fattezze del suo volto; se un essere solo, anziché ispirarci tutt’al più irritazione, piacere o noia, ci insegue come una musica e ci tormenta come un problema, se trascorre dagli estremi confini al centro del nostro universo, e infine ci diviene più indispensabile che noi stessi, ecco verificarsi il prodigio sorprendente, nel quale ravviso ben più uno sconfinamento dello spirito nella carne che un mero divertimento di quest’ultima».
Marguerite Yourcenar, “Memorie di Adriano”, da: “Animula vagula blandula” – Traduzione di L. Storoni Mazzolani