Intelligente e sensibile, insicuro e bisognoso di protezione ma nello stesso tempo in rivolta contro il mondo dei grandi, Holden rappresenta la difficoltà dell’adolescente ad abbandonare l’infanzia e a diventare adulto. Emblematico al riguardo il suo “progetto” di vita, “l’acchiappatore nella segale”, essere cioè colui che afferra al volo e salva i bambini quando, giocando in un immaginario campo di segale, non si avvedono di un precipizio e rischiano di cadervi. Trattasi di una bellissima metafora: intuendo che i bambini sono portatori di una visione della vita più autentica di quella degli adulti, vorrebbe salvaguardare questa loro qualità, destinata a perdersi quando saranno grandi.
Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare a telefono tutte le volte che ti gira. Non succede spesso, però.
Estratto:
Non riuscivo a togliermi di dosso la voglia di andare a casa a far quattro chíacchiere con la vecchia Phoebe. Ma alla fine, dopo un po’ che marciavamo, io e l’autista attaccammo una specie di conversazione. Si chiamava Horwitz. Era molto meglio dell’altro autista che mi era capitato prima. Ad ogni modo, pensai che forse lui sapeva qualcosa delle anitre.
– Ehi, Horwitz, – dissi. – Ci passa mai vicino allo stagno di Central Park? Giù vicino a Central Park South?
– Al cosa?
– Allo stagno. Quel laghetto, cos’è, che c’è laggiù. Dove ci sono le anitre, sa?
– Sí, e allora?
– Be’, sa le anitre che ci nuotano dentro? In primavera eccetera eccetera? Che per caso sa dove vanno d’inverno?
– Dove vanno chi?
– Le anitre. Lei lo sa, per caso? Voglia dire, vanno a prenderle con un camion o vattelappesca e le portano via, oppure volano via da sole, verso sud o vattelappesca?
Il vecchio Horwitz si girò tutto di un pezzo sul sedile e mi guardò. Aveva l’aria d’essere un tipo nervosetto. Non era affatto malvagio, però. – E come diavolo faccio a saperlo?- disse. – Come diavolo faccio a sapere una stupidaggine cosí?
– Be’, non si arrabbi per questo, – dissi. Era arrabbiato o che so io.
– E chi si arrabbia? Nessuno si arrabbia.
Io smisi subito di chiacchierare con lui, se doveva essere cosí maledettamente suscettibile. Ma fu lui stesso a riattaccare. Si girò tutto un’altra volta e disse: – I pesci non vanno in nessun posto. Restano dove sono, i pesci. Proprio in quel dannato lago.
– Ma i pesci… è un’altra cosa. I pesci sono un’altra cosa. Io sto parlando delle anitre, – dissi.
– Perché è un’altra cosa? È proprio tale e quale, – disse Horwitz. Qualunque cosa dicesse, aveva l’aria d’essere arrabbiato. – Per i pesci è molto peggio che per le anitre, Cristo, l’inverno e tutto quanto. Faccia funzionare il cervello, Cristo!
Io non dissi niente per un minuto almeno. Poi dissi: – Va bene. E cosa fanno, i pesci e compagnia bella, quando tutto il lago diventa un solo blocco di ghiaccio, con la gente che ci pattina sopra e via discorrendo?
Il vecchio Horwitz si girò un’altra volta. – Che diavolo vuol dire, cosa fanno? – mi urlò in faccia. – Restano là dove sono, Cristo.
– Ma non possono non accorgersi del ghiaccio. Non possono non accorgersene.
– E chi è che non se ne accorge? Nessuno può non accorgersene! – disse Horwitz. Era così maledettamente infuriato e tutto quanto che avevo paura che mandasse a sbattere il tassì contro un lampione o che so io. – Vivono dentro quel maledetto ghiaccio, vivono. È la loro natura, Cristo. Si congelano e stanno in quella posizione per tutto l’inverno.
– Ah sì? E che cosa mangiano, allora? Voglio dire, se sono proprio congelati non possono nuotare per cercarsi da mangiare eccetera eccetera.
– I loro corpi, Cristo, ma che ti piglia? Sono i loro corpi che prendono il nutrimento eccetera eccetera da quelle maledette alghe e porcherie che ci sono nel ghiaccio. Stanno là coi pori sempre aperti. È la loro natura, Cristo. Capisci cosa voglio dire? – E si voltò un’altra volta tutto d’un pezzo sul sedile per guardarmi.
– Oh, – dissi io. Lasciai perdere. Avevo paura che fracassasse quel maledetto tassì o non so cosa. D’altronde era un tipo talmente suscettibile che non c’era nessun gusto a discutere con lui. – Che ne direbbe di fermarsi in qualche posto a bere un bicchierino con me? – dissi.
Ma lui non mi rispose. Mi sa che stava ancora rimuginandoci sopra. Io però glielo domandai un’altra volta. Era proprio un buon diavolo. Divertente e tutto quanto.
– Non ho tempo per i bicchierini, amico, – disse. – Ma quanti accidenti di anni ha, lei? Perché non sta a casa a dormire?
– Non ho sonno.
Quando scesi davanti al locale di Ernie e pagai la corsa, il vecchio Horwitz se ne uscì un’altra volta con i pesci. È chiaro che non aveva pensato ad altro. – Stia a sentire, – disse. – Se lei fosse un pesce, Madre Natura penserebbe a lei, no? Giusto? Non crederà che i pesci muoiano quando viene l’inverno, no?
– No, ma…
– E l’ha proprio azzeccata, che non muoiono, – disse Horwitz, e partì sparato come un razzo. Credo di non avere mai incontrato un individuo tanto suscettibile. Tutto quello che dicevi lo faceva arrabbiare.
[…]
– Benissimo. Ora stammi a sentire un momento…può darsi che non esprima tutto questo in modo memorabile come vorrei, ma tra un giorno o due ti scriverò una lettera. Allora ti riuscirà tutto chiaro. Ma adesso sta’ a sentire, ad ogni modo -.
Ricominciò a concentrarsi. Poi disse:- Il capitombolo che secondo me ti stai preparando a fare…è un tipo speciale di capitombolo, orribile. A chi precipita non è permesso di accorgersi né di sentirsi quando tocca il fondo. Continua soltanto a precipitare giù. Questa bella combinazione è destinata agli uomini che, in un momento o nell’altro della loro vita, hanno cercato qualcosa che il loro ambiente non poteva dargli. O che loro pensavano che il loro ambiente non potesse dargli. Sicché hanno smesso di cercare. Hanno smesso prima ancora di avere veramente cominciato. Mi segui? […]
– Non voglio spaventarti, ma non stento affatto a vederti morire nobilmente, in un modo o nell’altro, per una causa indicibilmente ignobile -. Mi diede una strana occhiata. – Se ti scrivo una cosa, la leggi con attenzione? E la conservi?. […]
– Per quanto sembri strano, questo non l’ha scritto un poeta di mestiere. L’ha scritto uno psicanalista che si chiamava Wilhelm Stekel.[…]
– Ecco quello che ha detto:”Ciò che distingue l’uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l’uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essa”.[…]
– Io credo che uno di questi giorni ti toccherà di scoprire dove vuoi andare.[…]
– E mi dispiace dirtelo, ma credo che non appena comincerai a vedere chiaramente dove vuoi andare, il tuo primo impulso sarà quello di applicarti allo studio. Per forza. Sei uno studioso. Smanii di sapere. E io credo che non appena ti sarai lasciato dietro i professori Vines e i loro temi, […] allora comincerai ad andare sempre più vicino, se sai volerlo e se sai cercarlo e aspettarlo, a quel genere di conoscenza che sarà cara, molto cara al tuo cuore. Tra l’altro, scoprirai di non essere il primo che il comportamento degli uomini abbia sconcertato, impaurito e perfino nauseato. Non sei affatto solo a questo traguardo, e saperlo ti servirà d’incitamento e di stimolante. Molti, moltissimi uomini si sono sentiti moralmente e spiritualmente turbati come te adesso. Per fortuna, alcuni hanno messo nero su bianco quei loro turbamenti. Imparerai da loro…se vuoi. Proprio come un giorno, se tu avrai qualcosa da dare, altri impareranno da te…è una bella intesa di reciprocità. E non è istruzione. È storia. È poesia.
[…]
– Sai cosa mi piacerebbe fare? – dissi. – Sai cosa mi piacerebbe fare? Se potessi fare quell’accidente che mi gira, voglio dire.
– Cosa? Smettila di bestemmiare.
– Sai quella canzone che fa “Se scendi tra i campi di segale, e ti prende al volo qualcuno”? Io vorrei…
– Dice “Se scendi tra i campi di segale, e ti viene incontro qualcuno”, – disse la vecchia Phoebe. – È una poesia. Di Robert Burns.
– Lo so che è una poesia di Robert Burns.
Però aveva ragione lei. Dice proprio “Se scendi tra i campi di segale, e ti viene incontro qualcuno”. Ma allora non lo sapevo.
– Credevo che dicesse “E ti prende al volo qualcuno”, – dissi. – Ad ogni modo, mi immagino sempre tutti questi ragazzini che fanno una partita in quell’immenso campo di segale eccetera eccetera. Migliaia di ragazzini, e intorno non c’è nessun altro, nessun grande, voglio dire, soltanto io. E io sto in piedi sull’orlo di un dirupo pazzesco. E non devo fare altro che prendere al volo tutti quelli che stanno per cadere dal dirupo, voglio dire, se corrono senza
guardare dove vanno, io devo saltar fuori da qualche posto e acchiapparli.
Non dovrei fare altro tutto il giorno. Sarei soltanto l’acchiappatore nella segale e via dicendo. So che è una pazzia, ma è l’unica cosa che mi piacerebbe
veramente fare. Lo so che è una pazzia.
[…]
mio fratello mi ha domandato che cosa ne pensavo io di tutta questa storia che ho appena finito di raccontarvi. Non ho saputo che accidente dirgli. Se proprio volete saperlo, non so che cosa ne penso. Mi dispiace di averla raccontata a tanta gente. Io, suppergiù, so soltanto che sento un po’ la mancanza di quelli di cui ho parlato. Perfino del vecchio Stradlater e del vecchio Ackley, per esempio. Credo di sentire la mancanza perfino di quel maledetto Maurice. E’ buffo. Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti.
Jerome David Salinger, Il giovane Holden, trad. A. Motti, Einaudi, Torino, 1961