Il poeta è un po’ come il minatore che dalla superficie, cioè da l’autobiografia, scava, scava, scava finché trova un fondo nel proprio io che è comune a tutti gli uomini. Scopre gli altri in se stessoGiorgio Caproni, Che cos’è la poesia
Giorgio Caproni nasce a Livorno il 7 gennaio 1912, è uno dei massimi poeti del Novecento italiano. Di origini modeste, il padre Attilio è ragioniere e la madre, Anna Picchi, sarta. Giorgio scopre precocemente la letteratura attraverso i libri del padre, tanto che a sette anni scova nella biblioteca paterna un’antologia dei “Poeti delle Origini”, rimanendone irrimediabilmente affascinato e coinvolto. Nello stesso periodo si dedica allo studio della Divina Commedia, dalla quale s’ispirò per “Il seme del piangere” e “Il muro della terra”.
Caproni, livornese, ma genovese d’adozione (nel capoluogo ligure vive dal 1922 al 1938), è poeta dalla forma cantabile, malinconica, discreta, difficile da collocare in movimenti e correnti ben definite. Il suo esordio nel mondo delle lettere avvenne mentre era in pieno svolgimento l’esperienza ermetica, alla quale tuttavia rimase estraneo, più sensibile a descrivere gli aspetti più minuti e di solito poco avvertiti della realtà. Semmai su di lui agì l’influenza di Umberto Saba e della grande tradizione letteraria italiana. A questa poetica si ispirano le raccolte di versi Come un’allegoria (1936), Ballo a Fontanigorda (1938) e Finzioni (1941).
Dopo aver combattuto nella seconda guerra mondiale e aver partecipato anche alla Resistenza, nel 1946 si trasferì a Roma dove, per vivere, fece i mestieri più vari (tra i quali il violinista, l’impiegato, l’insegnante elementare) e fu anche un efficace traduttore. Nel secondo dopoguerra, Caproni si è misurato, con i versi de Gli anni tedeschi (1943-47) – pubblicati, insieme alle Stanze della funicolare (1952), nel volume Il passaggio di Enea (1956) –, con il tragico tema della guerra, di cui ha sottolineato, con sensibilità e umana partecipazione, il terribile costo in termini di sangue e di sofferenza. Altri temi da lui prediletti, che formeranno altrettanti nuclei problematici della sua poesia, saranno quelli della città, della madre, del viaggio, quali vengono cantati ne Il seme del piangere (1959), e nei versi poi raccolti in “Terzo libro” e altre cose (1968). A partire dai suoi libri più recenti, da il Congedo del viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee (1965) a Il muro della terra (1975), per giungere fino a L’ultimo borgo (1980), Il franco cacciatore (1982) e a Il conte di Kevenhuller (1986), Allegretto con brio (1988), al sentimento di ricerca-perdita di Dio subentra nel poeta il sentimento raggelante del nulla e della morte. Ad esso sembra piegarsi anche la parola, divenuta scabra ed essenziale, che pare così meglio rappresentare l’espressione di un dolore al quale non c’è rimedio, eccettuato quello di una grande forza morale.
Muore a Roma il 22 gennaio 1990.