Rosetta Circiello
Come una tempesta è il romanzo d’esordio di Grazia Mazzeo. Un libro, bello, coinvolgente e intrigante, che colpisce per lo stile letterario raffinato, preciso e nello stesso tempo molto evocativo. “Ciò che il caso ingarbuglia, lo dipana il destino“. Così, l’autrice, in una sorta di tela di Penelope inizia a far vivere uno ad uno tutti i personaggi immedesimandosi di volta in volta nei punti di vista dei protagonisti e delle proprie storie, nelle quali nulla è lasciato al caso, ma ogni parola è indiziaria e rivelatrice del carattere di ciascun personaggio, fedele ad una costruzione coerente della sua personalità. In un sud che affonda nella miseria e rassegnazione, muove i primi passi Serena, inciampando nella consapevolezza che nulla, né cognome, né casato le appartengano. Il suo destino, infatti, il bandolo lo ha preso da molto lontano per portarlo in quel piccolo borgo né troppo alto da essere in montagna, né troppo in basso da essere in collina, che vive all’ombra di un maestoso castello a forma di nave, per intrecciarlo al filo del destino di Giulio. Fili uniti che sembrano però destinati a separarsi per sempre, ma che tenaci, indistruttibili e fieri come l’indomito mare dipinto in un quadro appeso in un salone di casa Carrai, la casa di Serena, sfidano il tempo e lo spazio per farsi tempesta. Una tempesta sognata, agognata, fortemente voluta da uomini e donne che anteponendo il sogno di riunificare una nazione sotto un’unica bandiera alla loro stessa vita, arrivano sino al sacrificio estremo. In questo panorama pre-risorgimentale ricco di fermenti, slanci, sogni e disillusioni, si muovono, in un clima sospeso tra realtà e magia personaggi singolari alcuni dei quali realmente vissuti e storie d’amore, di ombre, di mistero che come scatole cinesi si dipanano spiegando il disegno di ogni destino che, però, non sempre è facile da accettare. E qualche volta davvero impossibile. Una lettura che scorre come sabbia tra le dita, piacevole e fluida. La consigliamo vivamente. Secondo Cesare Pavese le copertine dei libri operano «un sottile lavoro d’interpretazione e di illuminazione» (Antologia Einaudi, 1948). E’ per questo che ci sembra doveroso aggiungere qualche informazione sulla copertina. |
I ragazzi tenevano tanto a quella scuola e l’amavano perché avevano capito che solo così potevano riscattare se stessi dal giogo sotto cui per millenni avevano tenuto i loro antenati. Un uomo ignorante è più facile da assoggettare, è più fragile, più vulnerabile.
Un tesoro tra le rovine
Della rimessa non c’era rimato quasi nulla. Il tetto era crollato come pure le due pareti: quella di dietro e la parete sinistra. Miracolosamente erano in parte scampate alla devastazione quella destra e la parete davanti, quella dov’era l’entrata. Rimanevano in quella devastazione annerite e consumate, fragili e precarie che un refolo di vento avrebbe potuto buttare giù in un solo momento, perché niente restasse, se non solo cenere, a testimoniare che là c’era stato qualcosa di importante per quella piccola comunità. Sulle pareti annerite, ingialliti, accartocciati, ma ancora appesi, c’erano alcuni disegni. Un albero, grande, maestoso, con i rami protesi al cielo come fossero mani. Anna c’era scritto sotto con lettere ancora claudicanti e asimmetriche. Una casa sbilenca con porte enormi ed enormi finestre sotto un sole che rideva sornione facendo capolino tra due nuvole, Gennaro c’era scritto con la stessa grafia ancora incerta che c’era sull’altro. I ragazzi tenevano tanto a quella scuola e l’amavano perché avevano capito che solo così potevano riscattare se stessi dal giogo sotto cui per millenni avevano tenuto i loro antenati. Un uomo ignorante è più facile da assoggettare, è più fragile, più vulnerabile. E quei ragazzi e ragazze che la sera prima s’erano mobilitati per salvare quella rimessa, avevano scelto di non essere più vulnerabili. L’aveva letto nei loro sguardi angosciati sì, ma fieri, di poter far qualcosa finalmente per loro stessi. E aveva visto nelle loro espressioni il dolore e la rabbia per non essere riusciti a salvare la loro scuola e tutti i quaderni e disegni dalla furia incontenibile del fuoco che s’era mangiato ogni cosa. Carlo camminava tra le rovine, la pioggia provvidenziale di quella notte aveva reso il pavimento di terra battuta un mare di fanghiglia nera. Dei banchi che aveva fatto Giulio non vi era più alcuna traccia.
Tutto bruciato, tutto in fumo. Che peccato! Tanto lavoro e tempo sprecato! Per ricostruirla ci sarebbe voluto tutto l’inverno, tenendo presente che d’ora in poi le giornate sarebbero state davvero impietose. A dispetto di tutto e di tutti però, i ragazzi non avrebbero perso un solo giorno di scuola: Giulio e Serena per il momento, avrebbero tenuto le lezioni in sala da pranzo, l’enorme tavolo sarebbe stato perfetto. Chissà se quei ragazzi, anzi, se tutta quella porzione d’umanità radunata in quella tenuta, e sparsa in quel piccolo borgo avrebbe compreso appieno quale grande fortuna fosse per loro vivere quel momento preciso. Un momento in cui la storia stessa chiama ognuno ad esserne protagonista, non semplice spettatore. Stava riattraversando il perimetro della rimessa per andarsene, quando qualcosa di famigliare attrasse la sua attenzione. Qualcosa che il fuoco aveva risparmiato. Si avvicinò e annuendo si chinò a raccoglierla. Quando rimontò sul calesse aveva un sorriso stranissimo. A vederlo avresti detto fosse quasi felice, e anche a sentirlo: canticchiava in sordina un’arietta bizzarra. Andando su in paese a ritmo sostenuto ogni tanto si toccava la tasca rigonfia della sua redingote e sorrideva sornione. A vederlo avresti giurato che tra le rovine della rimessa avesse trovato un tesoro.
Grazia Mazzeo, Come una tempesta – Book Sprint 2015
Vedi anche: Presentazione del romanzo