Il libro “Bianca come il latte rossa come il sangue” parla della scuola, della sofferenza, della disperazione e della forza dei sogni. E’ un libro davvero bello, facile da leggere, che cattura già dalle prime righe. Leggendolo mi sono trovato coinvolto in un ambiente molto vicino al mio: l’amicizia, il calcio, l’amore, lo studio, i prof., alcuni sono speciali, hanno una luce particolare negli occhi, quando ci parlano ci spronano a non lasciare andare i nostri sogni, a cercarli senza stancarci mai… Molto bello anche il film. Lo consiglio a tutti, soprattutto ai miei amici.
Davide Corvaglia
Trama
Leo è un sedicenne come tanti: ama le chiacchiere con gli amici, il calcetto, le scorribande in motorino e vive in perfetta simbiosi con il suo iPod. Le ore passate a scuola sono uno strazio, i professori “una specie protetta che speri si estingua definitivamente”. Così, quando arriva un nuovo supplente di storia e filosofia, lui si prepara ad accoglierlo con cinismo e palline inzuppate di saliva. Ma questo giovane insegnante è diverso: una luce gli brilla negli occhi quando spiega, quando sprona gli studenti a vivere intensamente, a cercare il proprio sogno. Leo sente in sé la forza di un leone, ma c’è un nemico che lo atterrisce: il bianco. Il bianco è l’assenza, tutto ciò che nella sua vita riguarda la privazione e la perdita è bianco. Il rosso invece è il colore dell’amore, della passione, del sangue; rosso è il colore dei capelli di Beatrice. Perché un sogno Leo ce l’ha e si chiama Beatrice, anche se lei ancora non lo sa. Leo ha anche una realtà, più vicina, e, come tutte le presenze vicine, più difficile da vedere: Silvia è la sua realtà affidabile e serena. Quando scopre che Beatrice è ammalata e che la malattia ha a che fare con quel bianco che tanto lo spaventa, Leo dovrà scavare a fondo dentro di sé, sanguinare e rinascere, per capire che i sogni non possono morire e trovare il coraggio di credere in qualcosa di più grande.
I sogni veri si costruiscono con gli ostacoli.
Altrimenti non si trasformano in progetti, ma restano sogni.
La differenza fra un sogno e un progetto è proprio questa: le bastonate, […].
I sogni non sono già, si rivelano a poco a poco, magari in modo diverso da come li avevamo sognati…
Ecco il segreto della felicità: essere se stessi e basta. Fare quello che si è chiamati a essere. Vorrei la forza di quell’albero, ruvido e duro all’esterno, vivo e tenero dentro, dove scorre la linfa.
Estratto:
Gandalf è un uomo fatto di vento, hai l’impressione che possa volare via da un momento all’altro come un palloncino e ti chiedi come faccia a reggere orde di barbarici liceali. Lui però sorride sempre.
Ha seminato i pavimenti di marmo di tutta la scuola con i suoi sorrisi. Quando lo incontri sorride, anche quando entra a scuola, a differenza degli altri prof.
Sembra quasi che quel sorriso non sia suo.
Entra in classe, sorride e tace. Poi scrive una frase alla lavagna e tutti aspettiamo quel momento. Oggi è entrato e ha scritto “Lì dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”. Parte il solito gioco.
«Jovanotti!»
«No.»
«Max Pezzali?»
«No.»
«Elisa?»
«No. Più indietro…»
«Battisti?»
«No.»
«Ci sono!»
Urlo dal fondo allargando le braccia in un gesto plateale che prelude al trionfo:
«Zio Paperone!»
La classe esplode in una risata.
Anche Gandalf sorride, tace.
Ci fissa e poi dice:
«Gesù Cristo.»
«C’è sempre la fregatura» intervengo io, «lei proprio non può farne a meno di Gesù.»
«Ti sembra che andrei in giro vestito così se potessi fame a meno?»
Sorride.
«Ma che significa la frase?»
Sorride.
«Secondo voi?»
«Come Gollum, che dice sempre: “Il mio tesssoro”. Non pensa ad altro, il suo cuore è lì» spiega la Suora. Di solito è silenziosa, ma quando parla dice solo cose profonde.
«Non so chi sia questo Gollum, ma se lo dici tu mi fido.»
Gandalf non conosce Gollum, sembra assurdo, ma è così. Poi continua:
«Significa che quando ci sembra di non pensare a niente, in realtà noi pensiamo a quello che ci sta a cuore. L’amore è una specie di forza di gravità:
invisibile e universale, come quella fisica. Inevitabilmente il nostro cuore, i nostri occhi, le nostre parole, senza che ce ne rendiamo conto vanno a finire lì, su ciò che amiamo, come la mela con la gravità.»
«E se non amiamo nulla?»
«Impossibile. Te la immagini la Terra senza gravità: O lo spazio senza gravità? Sarebbe un continuo autoscontro. Anche chi pensa di non amare nulla ama qualcosa. E i suoi pensieri vanno lì, senza che se ne renda conto. Il punto non è se amiamo o no, ma cosa amiamo. Gli uomini adorano sempre qualcosa: la bellezza, l’intelligenza, il denaro, la salute, Dio…»
Così sono le lezioni con Gandalf: si costruiscono sul momento, e sembra che lui abbia sempre una frase pronta da tirare fuori dal suo libro magico…
[…]
Questa è un’altra cosa su cui devo riflettere. I sogni sono come le stelle: le vedi brillare tutte quando le luci artificiali si spengono, eppure stavano li anche prima. Eri tu a non vederle, per il troppo chiasso delle luci. Silvia mi costringe a riflettere. Lo fa apposta.
[…]
Compro tre rose bianche (è l’unica eccezione alla paura che ho del bianco) e vado sotto casa di Silvia. Citofono. Sua madre, probabilmente all’oscuro di tutto, mi apre. Qualcosa gira per il verso giusto. Salgo. Entro nella camera di Silvia, lei sta ascoltando la musica con le cuffie e non mi ha sentito arrivare. Alza lo sguardo e si ritrova tre occhi bianchi che la guardano e le chiedono scusa. Rimane interdetta. Estrae gli auricolari e mi guarda con durezza, poi annusa le rose. Quando rialza lo sguardo i suoi occhi azzurri sorridono. Mi abbraccia e mi dà un bacio sulla guancia. Non un bacio
qualunque, ma un bacio di quelli che sulle labbra di chi te lo dà hanno qualcosa di più di quando saluti una persona. E lo senti quel calore in più, resta appiccicato alla guancia.
[…]
Tiro fuori il mio coltellino e comincio a incidere qualcosa sul tronco dell’albero vicino. Mentre lo faccio meccanicamente penso alla mia prossima mossa, la mossa per dare scacco matto al destino, la mossa per essere felice. Ogni tanto guardo il cielo e le mie dita si soffermano sulle rughe secolari di quell’albero che è forte, che è saldo, che è felice nel cuore di quel parco. È un albero e fa l’albero: affonda le sue radici nell’acqua del fiume vicino e cresce. Segue la sua natura. Ecco il segreto della felicità: essere se stessi e basta. Fare quello che si è chiamati a essere. Vorrei la forza di quell’albero, ruvido e duro all’esterno, vivo e tenero dentro, dove scorre la linfa. Non ho il coraggio di andare da Beatrice. Ho paura. Ho vergogna. Ho me stesso, e non basta, non basta mai. Continuo a incidere la corteccia, senza pensare…
Alessandro D’Avenia, Bianca come il latte rosso come il sangue – ed. Mondadori (Approfondimenti)