Nel Comune di Rocchetta Sant’Antonio (FG) si svolgono sempre più frequentemente delle suggestive visite guidate per le incantevoli viuzze del Centro Storico.
Si tratta di percorsi, suddivisi in tappe, che offrono ai visitatori l’opportunità di fare un ‘viaggio nel tempo’ alla scoperta delle bellezze del luogo, tra cui:
- l’immutato fascino delle Chiese, in primis la Chiesa Matrice, custode di antiche tele e preziose opere d’arte dal valore inestimabile.
- il Castello d’Aquino, maestoso maniero;
- i ruderi di Castel Sant’Antimo;
- i Palazzi medievali e rinascimentali;
Le visite guidate si collocano nell’ambito di una serie di iniziative volte a promuovere il territorio e a valorizzare i beni culturali ivi presenti:
- Visita guidata dedicata ai soci del Circolo l“Archeologica” di Foggia;
- Press Tour, consistente nell’invitare ed ospitare dei giornalisti per alcuni giorni al fine di promuovere il territorio;
- Progetto SAC Apulia Fluminum.
Il presente documento, elaborato dal Dirigente Scolastico in quiescenza Alessandro Forlè, raffinato e appassionato studioso di fonti storiche locali, è frutto di un lavoro ben più corposo e inedito e rappresenta un unicum, predisposto allo scopo, per offrire ai partecipanti alla visita guidata, sia informazioni utili sulle Chiese di Rocchetta Sant’Antonio che stimoli per ulteriori approfondimenti sul patrimonio artistico, storico e culturale del luogo.
Rosetta Circiello
Chiese di Rocchetta Sant’Antonio – Relazione introduttiva
ln occasione della visita a Rocchetta degli iscritti al Circolo l“Archeologica” di Foggia, ho pensato di approntare, al fine di fornire loro delle indicazioni, sia pure in estrema sintesi, sul paese, alcune schede informative relative alle Chiese del luogo.
Ho consultato varie fonti, tra cui: la “Cronistoria di Rocchetta” del Sac. Giovanni Gentile; i “Documenti Cavensi per la storia di Rocchetta” del Prof. Carmine Carlone; “Fisco, economia e società a Rocchetta Sant’Antonio nei secoli XVII e XVIII” del Prof. Silvio Zotta: tratto dagli “Atti di Capitanata”, convegno studi del 14 agosto 2009.
Soprattutto, però, mi sono avvalso dei bilanci di gestione appartenenti alla Confraternita della già Regia Cappella della Madonna delle Grazie e di documenti ancora inediti.
Ringrazio la dr.ssa Rosetta Circiello per la cortese ospitalità concessa sul sito “Il piacere di leggere”, che gestisce, da par suo, con tanta passione, competenza e impegno.
Rocchetta Sant’Antonio, li 8 aprile 2019.
Alessandro Forlè
Chiesa Matrice dedicata all’assunzione della Beata Vergine Maria
Sorge ai piedi della Cittadella, al culmine di un’erta salita e di un’ampia gradinata, nella zona di prima espansione del paese fuori la rocca, ove sono testimoniati i primi insediamenti risalenti alla fine del primo millennio d. C.
La Chiesa è sede dell’antica Arcipretura che reggeva le tre parrocchie in cui si articolava: Sant’Antonio Abate per la Cittadella; San Giovanni Battista per il Rione Pescara e Sant’Angelo per l’omonimo quartiere, più comunemente conosciuto come Lampione; sede di quest’ultima parrocchia era, con ogni probabilità, la stessa chiesa Madre.
All’epoca della costruzione, stabilita con atto del 14 gennaio 1754, ed inaugurata il 28 ottobre del 1768, l’Arcipretura annoverava ben trenta sacerdoti, i quali tutti godevano dei benefici proprî delle chiese ricettizie, in quanto, secondo il diritto canonico, titolari di un ufficio.
Il progetto, come si deduce dalla “Cronistoria” del Sac. Giovanni Gentile, fu redatto dall’Ing. Giovanni Mancarelli, di Barletta, che ne fu anche, all’inizio, direttore dei lavori; gli successero Silvestro Pollice e il di lui figlio Sabato, di Agnone.
L’edificio fu edificato su una preesistente Chiesa, la cui costruzione risaliva, con ogni probabilità, essendo coeva del tuttora esistente campanile, agli anni compresi tra il 1558 e il 1591, come si legge sull’iscrizione collocata sul prospetto del campanile stesso.
Tale Chiesa, a tre navate, ma più piccola dell’attuale, aveva il pronao, probabilmente a sei colonne, della facciata volto a levante, orientato, vale a dire, verso la piazza principale, ed un ingresso secondario, rivolto, come quello dell’esistente Chiesa, a tramontana.
Tutte, o alcune, delle sopradette colonne sono state inglobate nel muro dell’attuale Chiesa che affaccia su piazza Marco Pedoca; durante i recenti lavori di restauro è stato lasciato in vista, all’interno, un rozzo capitello dorico sormontante una delle colonne, fatto in pietra locale: arenaria quarzosa di colore ocraceo.
Stando ad un documento datato 26 agosto 1591, firmato da Mons. Marco Pedoca, Vescovo di Lacedonia, e da altri sacerdoti, e controfirmato dal Notaio Giuseppe Pasciuti, per il completamento del campanile si rese necessario contrarre una fideiussione per 200 ducati, all’interesse dell’8%, che vennero extinti, l’anno successivo, stante lo strumento, datato 9 agosto 1592, redatto dai Notai Quintiliano Magaldo e Giovanni Americo, cum pretio quartae partis frumenti spectan. ad d. Ecclesiam (con la vendita della quarta parte del frumento spettante alla Chiesa).
Secondo alcuni, la Chiesa era dedicata a Sant’Antonio Abate, ma, dai documenti dell’epoca, non risulta che vi fosse alcuna cappella, altare o statua intitolata al Santo.
L’altare maggiore, dedicato al S s. Sacramento e un altro altare, di pari intitolato al Santissimo, erano affidati alla cura dei confratelli dell’omonima Congrega.
Si può presumere che la Congrega avesse in possesso degli animali da lavoro, usati dai confratelli, con il privilegio che, come avveniva, secondo prassi documentata, per la consorella della Madonna delle Grazie, li metteva al riparo da possibili sequestri, al verificarsi di eventuali situazioni debitorie.
Lo stesso è da pensare abbiano fatto gli appartenenti alle altre congreghe: del Rosario, ospitata, di pari, nella Chiesa Madre; di S. Giovanni e della Pietà.
Chiesa Matrice dedicata all’assunzione della Beata Vergine Maria
Secondo la tradizione popolare, la Congrega, prima, e la Confraternita, poi, possedevano, sino alla prima metà del XIX secolo, una mandria di bovini (‘r vacck lu Sacrament) ed avevano il diritto di pascolo sul demanio comunale e sui beni feudali, sino all’alienazione di tali beni.
Tanto considerato, credo che non possa scartarsi l’ipotesi che la Chiesa fosse dedicata al Santissimo, anche perché, come sopra detto, era la Parrocchia della Cittadella, e quindi, l’attuale Chiesa di S. Giuseppe ad essere dedicata a Sant’Antonio Abate.
Alcune statue, come quelle di San Vito e della Madonna del Rosario, nonché molte tele, pale d’altare e quadri che si ammirano nella esistente Chiesa, possono, anche considerando lo stile: riconducibile al manierismo napoletano, essere considerate sopravvenienze della preesistente Chiesa Madre.
Degna di nota, tra le opere risalenti al vecchio Tempio, è di sicuro la pregevole tavola, su sfondo in oro, sovrastante il secondo altare della navata di sinistra, rappresentante una bellissima Madonna con il bambino che tiene, tra le mani, un cardellino, di sicuro stile rinascimentale, per i colori e per il movimento, sia espresso che contenuto.
A seguito dei disastrosi terremoti che si susseguirono dal 1684 al 1695, l’edificio fu più volte riparato, ma, evidentemente, ne era seriamente compromessa sia la staticità, sia la stessa copertura; inoltre, evidentemente a causa delle sepolture, versava in uno stato di estrema fatiscenza.
Poco più di cento anni dopo la costruzione, quindi, la Chiesa, secondo un documento datato 2 giugno 1739, firmato da quattro notabili del posto, alla presenza di due testimoni, con autenticazione delle firme da parte del Notaio Giuseppe Roberti, era in uno stato di abbandono “…Che per l’umidità, e l’gran fetore sentesi, cagiona malattie ed indisposizione e s’astengono i preti di debol complessione dall’officiare…”.
Seguono altre descrizioni desolanti e le accuse al Vescovo pro tempore, il cui nome non viene citato nel documento, di appropriarsi della quarta parte delle entrate destinata alla manutenzione dello stabile, degli arredi e dei sacri paramenti.
Una dichiarazione di Mons. Gennaro Scalea, Vescovo di San Severo e già Vescovo di Lacedonia, conferma il diritto della Chiesa Madre a disporre del citato quarto delle entrate, come per consuetudine e come di diritto.
Di certo a seguito di tale relazione, forse ad limina, e di una o più pensabili visitazioni apostoliche, si rese necessario procedere con il rifacimento della Chiesa, il cui costo, chiaramente dettagliato nei capitolati d’appalto del 1754, riportati nella succitata “Cronistoria”, fu sostenuto dal popolo, con il concorso delle Cappelle e, per gli ornamenti, dalla Diocesi, il cui Vescovo, Nicola d’Amato, fu il vero promotore ed animatore della bella costruzione.
La pianta è romanica, a tre navate, con la centrale sorretta da archi rampanti scavalcanti le due navate laterali ed è fiancheggiata dall’antico campanile quadrato, sormontato da un tamburo ottagonale e da una cupola aggiunta nel corso del XVIII sec.
La facciata, per il movimento e il gioco di luci che le conferisce la forma concava della parte centrale, rilevato dalle lesene, dalla cornice, dal fastigio del portale, sormontato da arco interrotto, con volute sorrette da paraste, può considerarsi come appartenente ad un tardo stile barocco, che già si rasserena nel neoclassico.
La navata centrale presenta la copertura con volte a crociera decorata con scene tratte dal Vecchio Testamento e, all’incrocio con il transetto, determina il tamburo, decorato con stucchi rappresentanti i quattro Evangelisti, sormontato dalla cupola e dalla lanterna.
Sulle navate laterali è possibile ammirare gli altari realizzati dal famoso stuccatore e marmoraro Luigi Cimafonte di Napoli: nella navata di sinistra quello di San Pasquale, il già citato Altare della Madonna del Cardellino e quello dell’Addolorata.
Tra il secondo e il terzo altare si apre la Cappella del Ss. Sacramento, pavimentata, sino a qualche tempo fa, con maioliche, probabilmente di Capodimonte, che pavimentavano anche l’Altare Maggiore; la Cappella è adornata con le bellissime tele raffiguranti la Pentecoste, San Francesco di Sales e l’Ultima Cena.
In fondo alla navata si apre la Sacrestia, arredata con armadi in noce, per la custodia dei paramenti sacri, realizzati, come il coro ligneo retrostante l’Altare Maggiore, dall’artigiano Liberatore Villani; alle pareti sono incorniciate una tela raffigurante la Deposizione, la Nascita di Maria e i ritratti dei Vescovi: Mons. Onorato e Mons. D’Amato.
Vi è anche una preziosa statuetta lignea che ritrae l’”Ecce homo” e un mezzo busto di San Gennaro, un tempo appartenente alla Cappella dell’Annunziata.
Nella navata di destra vi sono gli altari di Santa Filomena, della Madonna del Rosario: la cui devozione ebbe ampia diffusione dopo la battaglia di Lepanto e di S. Antonio Abate, con, ai lati, le statue di S. Sebastiano e di S. Vito, il culto del quale doveva essere particolarmente presente a Rocchetta, in quanto, dalle antiche carte geografiche, un’intera contrada era denominata “Le Coste di San Vito”.
Accanto alla Chiesa vi è ancora la cosiddetta Chiesuola, appartenente alla vecchia struttura.
Interessante sarebbe, anche, esplorare meglio gli ipogei, in quanto, nonostante i non sempre provvidi interventi effettuati a seguito dell’ultimo terremoto, si possono ancora ammirare resti di splendidi affreschi, che è ipotizzabile possano appartenere ad una Chiesa ancora antecedente a quella del XVI secolo.
La cappella di San Giuseppe
Sorge sulla Cittadella, la parte più antica del paese, costruita dai Bizantini negli anni compresi tra il 980 e il 986 come parte di una catena di fortificazioni erette lungo il confine con il Ducato Longobardo di Benevento.
Il Sac. Giovanni Gentile, nella sua “Cronistoria di Rocchetta”, riferisce che ai suoi tempi vi era ancora gente che ricordava una statuetta di S. Antimo di Nicomedia, Martire Cristiano del III sec. ed eponimo del piccolo centro, custodita nella Cappella; difatti, sino alla fine del XV sec., Rocchetta si chiamerà “Rocca Sant’Antimo”.
Si pensa che la costruzione sia stata restaurata o ricostruita nel XVI sec., anche se il basamento, con la relativa scalinata di accesso, risalgono, con evidenza, ad epoca medievale.
Cappella di San Giuseppe
Potrebbe essere stata, prima che a San Giuseppe, dedicata a Sant’Antonio Abate, in quanto, ancora nella prima metà del XVIII sec., le tasse che, sulla base del catasto, i cittadini dovevano corrispondere, erano ripartite per le tre parrocchie in cui, all’epoca, si articolava l’Arcipretura: Sant’Antonio, per gli abitanti della Cittadella; S. Michele Arcangelo, per l’omonimo quartiere, meglio adesso conosciuto come Lampione e San Giovanni Battista, per gli abitanti del Rione Pescara.
Attualmente la Cappella, a navata unica, conserva le statue di San Giuseppe, Santa Lucia, Santa Maria Incoronata e della Madonna di Costantinopoli, il cui culto si diffuse maggiormente in Italia a seguito della caduta dell’Impero Bizantino ed all’ospitalità offerta, nelle nostre contrade, ai profughi albanesi che fuggivano dalla loro patria a seguito dell’invasione turca.
La bella tela, di scuola napoletana del “Seicento”, raffigurante la Sacra Famiglia, è, adesso, custodita nella Chiesa Madre.
La cappella Regia di Santa Maria delle Grazie
Si trova nel Rione Pescara, costruita, probabilmente, nel XVI secolo; la semplice facciata presenta, però, un portale, sovrastato da un fastigio con archi interrotti, tipici dello stile tardo barocco, che lo farebbero risalire al XVIII secolo, così come molti elementi dell’interno.
Dalla “Cronistoria” del Sac. Giovanni Gentile risulta che godeva del patronato di una importante famiglia. “Emigrato l’ultimo erede di quella famiglia per l’uccisione dell’Arciprete dell’epoca, i beni furono aggiudicati al Fisco e la Cappellania fu dichiarata Regia”; da allora, le investiture ai sacerdoti cappellani, dette collazioni, furono attribuite tramite regi rescritti.
La Chiesa ospita l’omonima Confraternita che sorse al tramonto delle antiche Congreghe: del Santissimo; del Rosario; di San Giovanni Battista e della Pietà; è retta da un Priore e da un Consiglio, ambedue elettivi e, sino al 1962, essendo stato lo Statuto, in data 26 settembre 1783, munito di Assenso Regio, i relativi bilanci sono stati sistematicamente sottoposti all’approvazione della Sottoprefettura di Sant’Angelo dei Lombardi, prima, e della Prefettura di Foggia, poi.
Detti bilanci, accuratamente redatti, sono ancora consultabili e costituiscono una notevole fonte di notizie riguardo ai rapporti politici, economici e sociali dei vari periodi storici.
Cappella Regia di Santa Maria delle Grazie
Nel 1685, al fine di scongiurare, a seguito della grave situazione debitoria delle famiglie e dell’Università, l’imminente pericolo di sequestro, da parte del Governatore del Feudo di Melfi, la proprietà di molti animali da lavoro venne trasferita alle confraternite, i cui beni erano considerati intangibili.
Le stalle erano ubicate nel seminterrato del piccolo convento annesso alla Cappella, crollato in seguito al terremoto del 1930 e gli animali da lavoro erano “noleggiati”, a prezzi, presumibilmente modici, dai confratelli, per i lavori agricoli.
Nella piccola struttura, come si evince dai bilanci, era alloggiato anche uno o più accoliti o commessi, probabilmente appartenenti all’Ordine di San Francesco di Paola, ed è pensabile che, trovandosi Rocchetta sulla via di pellegrinaggio, detta “La Via del Padre”, che collegava l’Appia e il Tratturo Regio Pescasseroli-Candela con l’Abbazia del Goleto ed i Santuari del Principato Ultra, vi fossero alloggiati dei viandanti.
“Il Padre” per antonomasia, dalle nostre parti, è considerato San Guglielmo da Vercelli: Santo Patrono della Provincia di Avellino, fondatore delle Abbazie di Monte Vergine e del Goleto. La porta di accesso alla Sacrestia, d’altronde, è sormontata da una conchiglia: simbolo dei pellegrini.
L’interno della Chiesa, ad una navata, oltre all’Altare Maggiore, adornato da una bella tela e da una statua raffiguranti la Madonna delle Grazie, presenta altri quattro altari, di cui tre in marmo ed uno in pietra, sovrastati da tele raffiguranti: la SS. Trinità; la Beata Vergine del Carmine e le statue di S. Gabriele e di San Gerardo.
La chiesa di San Giovanni
Si tratta di una piccola chiesa, ad una sola navata, che sorge lungo la prima cinta di espansione del paese, nei pressi di quella che ne fu la principale porta e di cui resta solo un grosso pilastro e la rampa di accesso.
Fu sede della Parrocchia del Rione Pescara: una delle tre parrocchie, con quella di Sant’Antonio Abate e di Sant’Angelo, in cui si articolava l’Arcipretura; forse fu anche sede della Congregazione della Pietà.
Da molto tempo è stata sconsacrata, adibita a deposito di arredi e privata anche della campana, adesso custodita nella Chiesa Madre, per il legittimo timore che potesse essere trafugata.
Interessante è lo spigolo sinistro della costruzione, dove si può ravvisare una stele dauna, riutilizzata come materiale di costruzione.
Che potesse sorgere qualche luogo di culto in epoca preromana è possibile, in quanto il nome del rione: “Pescara”, deriva dal termine osco-umbro “pišch” che, oltre a significare grossa pietra, significava anche tempio, o, comunque, luogo di culto.
Chiesa di San Giovanni
La chiesa di Santa Maria Maddalena
In fondo alla discesa che, dalla parte alta del Paese, conduce alla piazza principale, in bella prospettiva, si trova la Chiesa di Santa Maria Maddalena, come è tornata a chiamarsi dopo essere stata intitolata alla Santa Immacolata Concezione: denominazione ancora conservata dalla Confraternita che alla Chiesa stessa fa capo.
Non si conosce la data in cui è stata costruita, ma, a considerare la lineare e pura armonia dell’elegante facciata, non appesantita dalle snelle lesene che la tripartiscono, dal fastigio che sormonta il portale e dai due semplici campanili a vela, potrebbe farsi risalire alla metà del sec. XVIII.
Risale, comunque, ad una data successiva al 1656, anno in cui si diffuse una grave pestilenza, stante la collocazione sulla facciata della statua di San Rocco, Compatrono di Rocchetta e di tante altre comunità, a cui le popolazioni si rivolgevano per invocarne la protezione dalle epidemie.
L’interno, suddiviso in campate con volte a crociera, è decorato con stucchi e cornici modanate.
L’altare maggiore, di chiara impronta settecentesca, adornato da armoniosi intarsi marmorei, è sormontato dalla statua lignea dell’Immacolata Concezione, con, ai lati, due nicchie in cui sono collocate le statue di San Giuda Taddeo e di S. Michele.
Chiesa di Santa Maria Maddalena
Purtroppo è andata perduta, verso la 2° metà del XIX sec., la tela rappresentante Santa Maria Maddalena, cui, in origine e attualmente, dopo la parentesi della dedicazione all’Immacolata, è intitolata la Chiesa.
Bella la grande tela del pittore Scognamiglio, raffigurante, in primo piano, una cappella rurale con della gente in adorazione di Cristo e della Madonna del Pozzo, la quale tiene per mano il protagonista del miracolo e la moglie, alla presenza dei due Santi Patroni e con, sullo sfondo, in bella prospettiva, un paese che sembra essere stato interessato da un terremoto.
Sulle pareti delle campate vi sono gli altari dedicati: ai Santi Cosimo e Damiano, a San Ciro, a San Leonardo di Porto Maurizio, la Pietà, S. Gerardo e S. Antonio da Padova.
All’epoca della costruzione, la Chiesa era collocata ai margini del centro abitato, sul tratturo che collegava i centri del Principato Citra e del Principato Ultra con il tratturo Pescasseroli-Candela e quelle che furono la Via Appia e la Via Egnazia, le quali, comunque, ancora all’epoca conservavano una certa importanza.
Nei pressi si conserva ancora la guardiola ottagonale delle “guardie tratturi” e vi era, sino a qualche anno fa, la torre che ospitava le guardie stesse; sembra ci fosse anche una taverna e qualche altra struttura ricettiva.
Santa Maria in Giuncarico
Le prime notizie riguardanti il Monastero di S. Maria in G., prope Castrum Sancti Antimi, risalgono all’atto di donazione del monastero stesso, fatto, nell’anno 1081, dal feudatario normanno Roberto del Torpo, all’Abbazia di Cava dei Tirreni ed alla successiva conferma del Vescovo Desiderio di Lacedonia; il primo documento, invece, che cita il limitrofo Monastero di S. Stefano risale alla “donazione di Arechi”, dell’anno 774.
In particolare, Arechi, Principe longobardo di Benevento, dona, in quella data, alla Chiesa di Santa Sofia di Benevento, i Monasteri rurali di: S. Pietro e S. Maria in Olivola, in agro, rispettivamente, di Scampitella e di Sant’Agata e di Sant’Abbondio, nella valle del Calaggio. Vengono donati, altresì, i monasteri di S. Mercurio e “Santo Stefano in Galdo nostro Felcine”, in località considerate sconosciute, ma che abbiamo motivo di ritenere possa trattarsi di S. Mercurio, in agro di Candela, e Santo Stefano in Felceto, in agro di Rocchetta, poiché ancora adesso il bosco ove si trovano i ruderi si chiama Felceto.
I monasteri è probabile che siano stati assegnati dall’Arcivescovo di Benevento, o dalla Diocesi Suffraganea di Ascoli S., ai Basiliani, giacché i duchi di Benevento, allora, si dichiaravano, almeno nominalmente, vassalli dell’Imperatore di Bisanzio.
Importante è la data del 1085, allorché il Vescovo di Lacedonia dona il Monastero di S. Maria e, probabilmente, anche di S. Stefano, ai Benedettini, rimuovendo i precedenti occupanti e giustificando tale sostituzione con una presunta conduzione “scomposta” degli stessi.
Altrettanta importanza riveste la conferma, redatta in Venosa, il 21 settembre 1089, da Papa Urbano II, dopo la chiusura del Concilio di Melfi, di tali Monasteri all’Abate di Cava Pietro Pappacarbone, che era stato suo docente durante il noviziato a Cluny.
I due monasteri, ubicati in siti ameni, divennero centri di attività e asilo per quanti, artigiani e contadini, volevano sottrarsi alle angherie dei signori feudali, tanto che fiorirono, specialmente in epoca fredericiana, in ricchezza e numero di abitanti, i due casali dipendenti.
Quando, infatti, l’Abate Rainoldo fece un giro per le dipendenze dell’Abbazia, trovò, solo in Santo Stefano, tra il casale e il monastero, sessantuno famiglie e dieci ecclesiastici.
Iniziò un periodo di decadenza, per l’eccessivo fiscalismo, con gli Angioini, per cui, nel 1495 il Priore, Frate Pietro Crispus, reggeva ambedue i casali. Nel corso del XVIII sec. Il Monastero di S. Stefano doveva essere già in rovina, giacché le visitazioni apostoliche erano fatte solo a S. Maria.
I terreni furono dati in fitto e gli abitanti si trasferirono a Rocchetta e la situazione si protrasse sino alla prima alienazione dei feudi, avvenuta, con i Napoleonidi a partire dal 1807.
Il Monastero di S. Maria era stato già venduto ad una famiglia del posto che l’aveva trasformato in una comoda palazzina di campagna, ancora attualmente in ottimo stato di conservazione, con l’annessa Chiesa, che continua ad essere frequentata, nelle ricorrenze, dalla gente del posto e dei paesi vicini. Allorché si provvede a sfoltire il sottobosco è possibile riconoscere il primitivo, ampio perimetro murario e le mura di sostrazione del lato EST.
Bellissima è ancora la statua della Vergine, anche se ridipinta, nel corso del XVIII sec., con colori impropri da un artefice, incaricato, come dice la Cronistoria, da qualche eremita, a cui, andati via i monaci, era affidata la Chiesa. La statua è, adesso, custodita nella Chiesa Madre, unitamente ad un’antica erma (mezzobusto di San Gennaro).
Santa Maria in Giuncarico
La chiesa rurale di Santa Maria del Pozzo
Fu costruita agli inizi del XVIII sec. sulla collina di Serralonga, per ricordare un miracolo che sarebbe accaduto, in quel luogo, ad un contadino di nome Giuseppe Mastrostefano.
In piena estate, il 24 di agosto, mentre, stanco per il lavoro e tormentato dalla sete, si raccomandava alla Madonna del Pozzo, la cui immagine gli era stata data, tempo prima, da un frate di passaggio, vide formarsi una polla d’acqua: impensabile per una zona tanto arida.
Raccontò la cosa in paese e la gente, con l’Autorità Ecclesiastica, poté constatare che, effettivamente, l’acqua sgorgava, per cui, dopo le opportune e ponderate indagini e considerazioni, si scavò un pozzo e si costruì una cappella.
Chiesa Rurale di Santa Maria del Pozzo
La Chiesetta era a semplice pianta rettangolare, non grande, ma arricchita con bei marmi, di un altare prezioso, fortunatamente ora custodito nella chiesa della Madonna delle Grazie e di bei quadri ispirati al vedutismo e all’arte sacra della Scuola napoletana del Sei-Settecento.
Prezioso, come riferisce il Gentile nella “Cronistoria” e come tanti cittadini ricordano, era un quadro artistico del 1767, davanti a cui i fedeli cadevano in commossa contemplazione.
Nel 1884 fu costruito, su iniziativa del Comune e con le offerte del popolo, un piccolo convento per ospitare un istituto educativo affidato ai Missionari del Collegio di San Pietro a Casarano, ma, nonostante l’impegno profuso da quei religiosi, dopo un paio d’anni di funzionamento, per discordie sopravvenute con il Vescovo, i frati andarono via.
La Chiesetta continuò ad essere frequentata non solo dalla gente di Rocchetta, ma anche dei paesi circonvicini.
Ancora adesso il popolo è animato da grande devozione per la Madonna e non manca, specialmente gli emigrati, di partecipare alle due processioni con cui si prende, il 15 di agosto, la statua, per portarla in paese e la si riporta, il 24 dello stesso mese, dopo i solenni festeggiamenti, alla sua abituale dimora.
A cura del DS Alessandro Forlè
“Via del Padre” (la via r’ lu Patr)
via di transumanza e di pellegrinaggio più volte citata in precedenza
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