Uno dei libri-chiave della letteratura moderna nella traduzione di Cesare Pavese. L’autoritratto in cui Joyce ha fissato ed esorcizzato la sua giovinezza. La qualità letteraria di questa e di altre traduzioni è davvero eccelsa.
In questo romanzo Stephen Dedalus ripercorre l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza. Lungo tutta l’opera si assiste ad un maturazione sia personale del protagonista sia stilistica del testo. Notevoli i temi affrontati: conflitto con le tradizioni (prima fra tutte la Chiesa d’Irlanda), bellezza, formazione e sviluppo dell’individuo…
La prima parte e l ‘ultimo capitolo sono davvero meravigliosi (le ultime pagine sotto forma di diario sono commoventi). Un libro che segna, un libro che tocca, un libro che merita…
Lettera alla Bompiani, 1940:
“Per tradurre bene, bisogna innamorarsi della materia verbale di
un’opera, e sentirsela rinascere nella propria lingua con l’urgenza di
una seconda creazione. Altrimenti è un lavoro meccanico che chiunque può
fare.”
Estratto
Aveva sentito pronunciare solennemente sulla scena e dai pulpiti il nome delle passioni di amore e di odio, lo aveva trovato solennemente scritto nei libri e si era domandato come mai la sua anima era incapace di accogliere quelle passioni per una qualunque durata o di sforzare le labbra a pronunciarne con convinzione i nomi. Una breve ira lo aveva spesso invaso, ma non era mai riuscito a farne una passione duratura e gli era sempre sembrato di sentirsene uscire fuori come se il suo corpo si stesse spogliando con facilità di una qualche pelle o buccia. Aveva sentito una presenza sottile, cupa e mormorante penetrare in lui e infiammarlo di una rapida e peccaminosa libidine: ed anch’essa gli era scivolata via inafferrabile, lasciandogli la mente lucida e indifferente. Questo, gli pareva, era tutto l’amore e tutto l’odio che la sua anima sapesse accogliere.