Possiamo anche mentire. Ma non possiamo mai scegliere tra scrivere e non scrivere. C’è su di noi un impegno che non ce lo consente. Ci viene da tutti gli uomini, impegno che rende terribile la nostra vocazione, ed è questo che noi si esercita con ogni libro nel ricominciare a dire la verità proprio con ogni libro, con ogni scritto, ripeterla ogni giorno non in qualche altra sua consistenza ma in qualche altro suo aspetto che la varia, che la rinnova, e nel ripeterla darla ogni volta (o tentare di darla) tutta intera, ogni volta (per il minimo che ne cambia) in una nuova figura, come se non potesse esservi al mondo che un libro solo. C’è una questione di vita o di morte nel giro del nostro mestiere. Si tratta di non lasciare che la verità appaia morta.
Da “Diario in pubblico”
Elio Vittorini nasce il 23 luglio 1908 a Siracusa da Lucia Sgandurra e Sebastiano Vittorini. Indiscusso uomo di cultura e splendido narratore, Elio Vittorini è stato un grande nome del Novecento letterario italiano. La sua scrittura nasce e si sviluppa dall’esigenza di partecipare alle tendenze più vitali del presente. Nelle sue opere, Vittorini proietta la propria coscienza della situazione storica, convinto come pochi del valore socio-culturale e politico della letteratura. Infatti, ed è qui il suo insegnamento, egli è convinto che la letteratura possa cambiare il mondo.
Nel 1924 interrompe gli studi tecnici e va via dalla Sicilia per lavorare, come edile, nella Venezia Giulia. Inizia a collaborare, sin dal 1927, a varie testate; in seguito entra a far parte del gruppo dei solariani e gode della stima di Montale, di Bonsanti, di Ferrata, di Carrocci. Pubblica i suoi scritti su “Solaria” e sul “Bargello”, su “Solaria” appare, a puntate, Il garofano rosso, sequestrato dalla censura fascista. Tra le sue opere più significative “Il Garofano rosso”, “Uomini e no”, e “Conversazione in Sicilia”. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Vittorini aderisce al Partito Comunista clandestino e partecipa alla Resistenza. Dal 1945 al 1947, gli viene affidata la direzione della rivista politico-culturale “Il Politecnico”, che abbandona a causa di un forte contrasto con Togliatti. La direzione di Vittorini lascia un segno indelebile: l’affermazione della necessità per la cultura e la letteratura di assumere tutte le responsabilità etiche e politiche, per la trasformazione della realtà.
Lo scrittore muore a Milano, a 58 anni.