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L’isola di Arturo – Elsa Morante

L'isola di Arturo

Premio Strega 1957. L’isola di Arturo è senza dubbio il romanzo più bello di  Elsa Morante. Narra la storia di un fanciullo  e della sua maturazione nell´isola di Procida.  L’isola racchiude tutto il suo mondo. Arturo,  trascorre il suo tempo a leggere storie di “eccellenti condottieri”,  studia l’atlante,  progetta i suoi viaggi futuri e, con le sue sole forze,  supera il momento più difficile della vita: l’adolescenza. Senza mamma, incantato dalle doti mitiche del padre, crescendo si scontra con la durezza della verità, affronta la disillusione del primo amore, la trasformazione fisica e mentale e, cosa più importante fra tutte, sceglie cosa fare “da grande”. 
Un libro di facile lettura. La semplicità del linguaggio, giovanile e allo stesso tempo ricercato, travolge come una burrasca ed emoziona come l’infinito che si perde oltre l’orizzonte.

«Là, nei giorni quieti, il mare è tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada».

Estratto:

Con l’allungarsi delle sere, io avevo ripreso l’abitudine di leggere e studiare in cucina, per passare il tempo, aspettando l’ora di cenare; il mio libro preferito di quell’epoca era un grosso atlante, commentato da un ricco testo scritto. Il volume conteneva, ripiegate, delle immense carte geografiche a colori,che io mi spiegavo ogni sera dinanzi, stando inginocchiato sul pavimento o su una sedia presso la tavola. Ed erano quelle carte a suscitare l’attenzione della matrigna. Ella da più sere le considerava perplessa, come degli enigmi; finché s’azzardò a domandarmi, con voce schiva:- Che studi, là sopra, Artù? 
Io, senza distogliere la fronte dalla mappa distesa, su cui andavo tracciando dei segni con un pezzo di carbone, le risposi che studiavo i miei itinerari; giacché, affermai convinto, l’epoca di esplorare il mondo ormai s’avvicinava, per me: intendevo partire, al più tardi, l’anno prossimo: o in compagnia di mio padre, o, altrimenti, anche solo! La matrigna riguardò la mappa senza altro aggiungere, per quella sera là.  […]
Finalmente una sera io le dissi: – Fammi un piacere, non distrarmi più coi tuoi discorsi, quando studio, – ed essa divenne muta. Io, simile a un conquistatore nella sua tenda campale, tracciavo delle linee col carbone attraverso gli oceani e i continenti: da Mozambico, a Sumatra, alle Filippine, al Mar dei Coralli… e intorno a questo mio lavoro regnava un grande silenzio sospeso. L’ho chiamato lavoro, e forse era un gioco, ma per me era più bello che scrivere una poesia; giacché a differenza delle poesie, (che hanno il loro fine in se stesse),esso preparava l’azione, della quale nessuna cosa è più bella! Quelle linee di carbone mi rappresentavano la scia sfavillante della nave Arturo: la certezza dell’azione mi aspettava, come, dopo i bei sogni della notte, s’accende il giorno, che è la bellezza perfetta. Il principe Tristano davvero delirava quando diceva che la notte è più bella del giorno! Io, da quando sono nato, non ho aspettato che il giorno pieno, la perfezione della vita: ho sempre saputo che l’isola, e quella mia primitiva felicità,non erano altro che una imperfetta notte; anche gli anni deliziosi con mio padre, anche quelle sere là con lei! Erano ancora la notte della vita, in fondo l’ho sempre saputo. E adesso, lo so più che mai; e aspetto sempre che il mio giorno arrivi, simile a un fratello meraviglioso con cui ci si racconta, abbracciati, la lunga noia…
Elsa Morante, L’isola di Arturo