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La nostalgia degli altri – Federica Manzon

La nostalgia degli altri di Federica Manzon

La nostalgia degli altri e il potere delle parole

La nostalgia degli altri” di Federica Manzon è una fiaba contemporanea. Il romanzo, parafrasando Tamara Baris, serve a ricordarci, come scriveva Cesare Pavese «che, per fortuna, siamo anche fragili». E, inoltre, siamo totalmente vulnerabili e impotenti, a volte, di fronte al potere delle parole e delle mille sfumature che si nascondono dietro ogni termine scelto. Allora,  Bisogna fare attenzione. Le parole sono importanti: vanno usate e ricevute con cura; e le storie hanno un gran potere, dovremmo saperlo tutti: una storia ben raccontata può diventare una verità. Un amore ben raccontato può diventare un amore vero, senza esserlo realmente. La nostagia degli altri è la storia di un amore che più che di carezze si nutre di parole scritte, del rumore che fanno i messaggi quando arrivano. 

I due giovani si incontrano all’Acquario: una grande struttura dell’intrattenimento, un luogo dove i sentimenti e i sogni vengono trasformati in mondi digitali. Essi si evitano accuratamente. Quanto più i corpi si sottraggono e il contatto virtuale dilaga, tanto più cresce il loro innamoramento. Lizzie e Adrian si coinvolgono completamente nella storia del loro amore, nello struggimento per tutto quello che non potrà mai essere, nella nostalgia per un tempo magnifico che è da subito perduto e per sempre rimpianto.

Federica Manzon costruisce, pagina dopo pagina, un racconto brillante e appassionante sull’identità e la necessità di nasconderla, sull’immaginario che diventa reale, ma anche sulle nostre infanzie e i giochi dimenticati, sulle regole dell’attrazione. La penna dell’autrice forse parte proprio dalla forza (e dalla debolezza) del nostro lato adolescenziale, da quel modo di abbandonarci, e di essere fragili e sempre in bilico (pronti alla caduta, incuranti dell’atterraggio), quell’innocenza che ci fa procedere senza ascoltare i dubbi, quella fiducia nelle storie, che ci irretisce in una credulità sorda e unidirezionale che ci disarma di fronte a sentimenti che si costruiscono dietro promesse astratte e incorporee.

Questo romanzo è in primis “una storia sulla fatica di capirsi quando ci si ama”.  Riprendendo le stesse parole della Manzon è “una storia sul potere delle storie, e la manipolazione, sull’isolamento e la precarietà della salute mentale”.

 

Nota bibliografia

Federica Manzon (Pordenone, 1981) ha pubblicato diversi  romanzi: Come si dice addio (2008) ,  Di fama e di sventura (premio Rapallo Carige 2011 e premio Selezione Campiello 2011), con Feltrinelli La nostalgia degli altri (2017). Nel 2015 ha curato il volume I mari di Trieste (Bompiani). 

 

I luoghi hanno un potere sulle nostre vite molto superiore rispetto a quello che siamo portati ad attribuirgli.

Il segreto delle storie
Il tempo, il tempo come noi lo esperiamo, il tempo che apparentemente passa alle nostre spalle e corre a dispiegarsi verso il futuro lasciandoci per sempre immersi nei rimpianti o alle prese con gli sforzi per costruirci una vita, una cucina con il sole e le tendine e i pastelli sul tavolo, questo tempo è un’ impostura. A che velocità corre il presente? Come si fa a tenere il passo, essere nel ritmo?Impossibile. Per questo alle volte scoppiamo a piangere senza motivo. Perché le cose non vanno mai come dovrebbero e il tempo non è esattamente consecutivo come noi lo vorremmo per poter tenere in piedi i ricordi e le speranze, insomma noi stessi. Ci teniamo insieme, ci hanno insegnato, a forza di passato e aspirazione. Ma è una finzione.
Il tempo ha velocità tutte sue e tende trappole da ogni lato, una quarta o una quinta dimensione, in ogni caso finisce troppo presto. Le cause non portano mai alle giuste conseguenze. (…)
Cosa importa chi siamo davvero? Che importa se siamo degli impostori, se mentiamo o nascondiamo i segreti o viviamo più vite insieme in mondi sincronici? Il tempo ha una sua velocità e noi non possiamo misurarla perché è la velocità stessa a essere misurata dal tempo e in ogni caso non ne abbiamo mai abbastanza. A questo servono le storie. Le storie danno un prima e un dopo, ci rendono possibili, salvano la memoria di quello che è già scomparso. Non importa che non ci sia niente di vero in quello che raccontiamo, non importa quanto mistifichiamo la realtà per farci vedere tristi e patetici, per ammaliare quelli seduti nelle sdraio a bordo campo. Comunque sia, scegliamo la parte e non ci pensiamo più. (…)
Non è mai per capire che si scrivono le storie…
Scriviamo per avere indietro ciò che ci appartiene e ci è stato portato via ingiustamente, ciò che è nostro per prossimità e intesa, e se non ci riusciamo, allora scriviamo perché niente vada perduto o sbiadisca all’orizzonte, perché le ciglia non la smettano di sedurci e i denti di sorridere, perché il bacio sia desiderato in eterno.