Camminare Domandando – Ultime conversazioni con Don Andrea Gallo è una raccolta di dialoghi tra l’autore e il prete di strada, nell’ultimo anno che i due hanno percorso assieme.
Partendo dal racconto in presa diretta di una lunga giornata in viaggio tra Genova e Torino avvenuta nel febbraio 2013, si parte per un percorso più profondo. I dialoghi con Federico Traversa, sulla scorta delle esperienze dei libri precedenti, rivelano una dimensione intima a tratti davvero sorprendente di un uomo che, come pochi altri, ha lasciato un segno indelebile sulla sua epoca. Questo libro è il riflesso del viaggio interminabile intrapreso da don Gallo all’inizio delle sue tante scelte, è la storia dell’incontro, lungo quel viaggio, di un viandante curioso e attento, che ha saputo osservare e ascoltare, che ha percepito la forza comunicativa di chi tramutava in gesti di amore autentico le parole di speranza che troppo facilmente si è abituati a far correre, senza che poi ad esse conseguano azioni adeguate. Don Gallo non si fermava mai di fronte a nulla, esattamente come fa la vita, anche se noi spesso ce ne scordiamo.
Nota bibliografica. Federico Traversa (Genova – 1975). Scrittore, co-fondatore di Chinaski Edizioni, ha pubblicato un romanzo (“Il contorno del camaleonte”) e diverse titoli legati alla musica, sovente con la collaborazione degli stessi artisti (Tonino Carotone, Africa Unite).
La sua svolta, sia come scrittore che come uomo, è avvenuta dopo l’incontro con Don Andrea Gallo. I due libri che ha scritto con lui (“Io cammino con gli ultimi” e “E io continuo a camminare con gli ultimi”) sono stati entrambi ripubblicati da grandi editori italiani. E, quel che più conta, oggi Federico ha un figlio, che si chiama Alessandro Andrea, e davvero non è difficile comprendere in onore di chi.
un nuovo mondo è possibile! Costruiamolo insieme.
“Circa tre anni fa, quando Nicola di Francescantonio diede il via al primo ciak del film “Una Canzone per il Paradiso”, la mia commozione di genovese toccò picchi vertiginosi.
Ricordo la telecamera che riprendeva me e Gino (Paoli) di spalle mentre ci accingevamo ad entrare in Via Del Campo, la nostra Via Del Campo.
In quel momento, a più di ottant’anni, mi sentii per la prima volta un vero genovese, che poteva e sapeva entrare in tutti gli anfratti della città, vivendone umori, sapori, odori, sensazioni e contraddizioni. Una città che negli anni avevo visto crescere, diventare grande, per poi perdersi nel mare agitato alla ricerca di una stella luminosa che potesse indicarle il nord.
All’improvviso, camminando sempre un po’ emozionato, fu come se vedessi venirmi incontro tutti i grandi cantautori della scuola zeneise, fantastici amici di un’epoca mitica ormai perduta. C’erano tutti. Ma proprio tutti. Da Bindi a Tenco, passando per Reverberi e, ovviamente, Fabrizio.
In quel momento, con l’aria ricolma di quei suoni e di quelle melodie che fecero grande la musica genovese prima e quella italiana poi, sentii alzarsi un fresco vento di tramontana che partendo da quelle note immortali soffiava fra i vicoli. Poco a poco quel soffio si fece parola e quella parola diventò grido: “un nuovo mondo è possibile! Costruiamolo insieme”.
E se questo si verificherà, sarà anche grazie alla musica, che ci regala ali per volare, alti sopra le nostre imperfezioni e ci dona forza per riscoprirci tutti appartenenti a questa grande famiglia umana.”
[…]
“Io cari ragazzi, avevo diciassette anni quando con la brigata partigiana abbiamo finalmente celebrato l’arrivo della democrazia. E ora, da vecchio, la devo veder sparire? Devo assistere all’eutanasia della democrazia? Devo vedere una democrazia autoritaria? Che concede solo la libertà di morire di fame, di lavoro, di dignità?
E quindi? È l’uguaglianza che viene tradita. Che cade sempre nel vuoto. A cicli, la società degli uomini si prende le sue vacanze, dalla legge e dalle tradizioni civili, dalle discipline, dall’educazione. E allora l’infamia, la diffamazione, il ricatto, la vita repressa per anni irrompono come un torrente nel mondo. I ladri si vantano di esserlo. I servitori infedeli dello stato mostrano con orgoglio le prove dei loro tradimenti. I servi non hanno più limiti nell’abiezione. Gli onesti quasi si vergognano di esserlo e gli esitanti sciolgono gli ormeggi e si precipitano al mare. Giorgio Bocca, un mio amico partigiano, in un articolo uscito nel lontano 2003 sull’Espresso scrisse: “Il fascismo perenne è nuovamente in libera uscita”. Lui descriveva l’Italia del 2003. Potete dirmi se oggi cambiereste qualcosa di quell’articolo?
Questa è la nostra situazione. Navighiamo in un mare agitato” concluse il gallo.
Primo Levi, nell’introduzione al suo epocale Se Questo è Un Uomo rifletteva su come a molti individui, o addirittura popoli, potesse capitare, più o meno consapevolmente, di considerare ogni straniero, oppure ogni diverso, un nemico. Levi riteneva che questa convinzione giacesse intorno in fondo all’animo, come un’infezione latente che poteva manifestarsi in atti saltuari ma che, comunque, non fosse all’origine di un sistema di pensiero preciso. Tuttavia, se questo dogma inespresso veniva perseguito e incentivato con rigorosa quanto triste coerenza, le conseguenze potevano essere devastanti. Lui sfortunatamente ne sapeva qualcosa. E allora possono nascere i lager, e allora può capitare che gruppi di idioti possano ammazzare di botte un omosessuale, abusare psicologicamente e fisicamente delle donne, combattere con ritorsioni violente chi ha un diverso credo religioso oppure politico. O magari la paura per la diversità può non raggiungere simili picchi di violenza ma insinuarsi timidamente nel tessuto sociale generando, poco alla volta, la suddivisione dei cittadini in caste. Anche in questo secondo caso, seppure sembri meno evidente, si può parlare apertamente di barbarie.
Aggiungerei inoltre che, per chi si professa cristiano, questo modo di operare va combattuto con ancora più forza.
Federico Traversa, Camminare Domandando – Ultime conversazioni con Don Andrea Gallo – Chinaski edizioni 2014