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Le parole la notte – Francesco Biamonti

Le parole la notte

Nei libri di Francesco Biamonti, incontriamo l’altra, estrema Liguria. Non c’è paesaggio più arido:
rocce, argille, rovi, ulivi, mimose, un nespolo, un mandorlo, poche rose – muri a secco, case
abbandonate. Tutto è spoglio. Tutto sembra andato in frantumi. Tutto sta per spegnersi: tutto è
spossato ed esausto; queste colline vuote, queste strade che non conducono da nessuna parte, sono ilsegno che il mondo è abbandonato da qualsiasi vita.
“Le parole la notte” è scritto sotto il segno della dea Omissione. Ogni parola nasconde un silenzio
profondissimo. Una mano spietata ed ascetica annulla ogni parola che non sia assolutamente
necessaria.

Pietro Citati – la Repubblica, 22 gennaio 1998

Nelle terre di confine tra Liguria e Francia, un gruppo di personaggi si incontra nelle case, lungo i sentieri delle colline, sulle strade vicino al mare. Nel fitto intreccio delle loro parole – come incantate dalla presenza di Veronique, che con la sua malinconica bellezza è il centro di tutto – prende corpo il senso profondo di una civiltà che sembra svanire nell’immagine degli oggetti, degli alberi, dei colori, in un ricordo di guerre combattute con dolore ma come in sogno.
Una conversazione sospesa sull’abisso. Nell’oscurità della notte si agita un mondo clandestino regolato da leggi della violenza e dello sfruttamento: l’universo dei disperati che irrompe in Occidente come un’onda inarrestabile…

Camminava e, tentennando, andava avanti coi suoi pensieri. Il cielo era illune, ma le stelle ardevano tanto che vedeva un abbozzo della sua ombra lungo i muri.

L’indomani all’alba il pittore era già tornato.
– Voglio vedere come si comporta questa terra alla prima luce.
Si era appoggiato a un tronco e aveva acceso una sigaretta. Finché il lavoro si avviava, fumava come un disperato.
Il giallo delle calendule fu il primo a comparire, poi il rosso di una rosa nel buio e il quarzo di un pezzo di terra che smerigliava le zappe. Poi la luce balzò dappertutto, l’azzurro assediava persino le fessure dei ceppi, nell’ombra dimenticata. Il pittore prese nella stalla il cavalletto e una tela, li portò fuori a testa china; guardava per terra, già concentrato.
[…]
Erano due tele analoghe, come soggetto. Di un azzurro incandescente, di mare. E una donna vi entrava e lo dorava. Un azzurro era compatto e l’altro screpolava attorno a una fessura…
La donna aveva delle macchie che sembravano sanguinare.
– La luce si accascia, – disse il pittore. Sorrideva mestamente.
– L’avevo troppo di fronte. Non sono riuscito a darne l’evasione… Che fatica il mare! Con le terre è diverso, anche con le più accese sai dove appoggiare.
– Preferisci volgergli le spalle, quando lavori?
– Brucia tutto, tutto. Non resta nulla: l’impronta delle cose, la dolcezza, le orme umane […].
– Bisogna stare attenti alla dolcezza delle cose […].
– La pittura è un lusso.
E il discorso tornò sulla modella […].
– L’ho riconosciuta dal passo. Anche se il suo corpo era lacerato, ho visto il suo muoversi.
– Vorrei recuperare tutto, lei e la luce di mare, nella dolcezza… Ma non lavorare d’immaginazione. È una donna glaciale. Certo, lavorare da te è più facile. Ma qualcuno ha detto: ‘Potrei vivere in un guscio di noce, se non avessi cattivi sogni’
[…]
Erano le prime ore della notte. Se ne andava a Beragna a piedi, Eugenio l’aveva lasciato ad Argela. Camminando rimpiangeva il paese sulle alte rocce, povero e decaduto, dove una volta aveva sentito dire da un pastore: ‘Nessuno è più di nessuno’. Avrebbe voluto starsene lassù sulle grigie rupi, tra fantasmi di lavande e di lino, tra ricordi di pastori. ‘Appartiene a una Liguria di montagna ora ridotta a una spoglia’. Camminava e, tentennando, andava avanti coi suoi pensieri. Il cielo era illune, ma le stelle ardevano tanto che vedeva un abbozzo della sua ombra lungo i muri. ‘Poter scrutare queste tenebre, – pensava, – questo mondo che va in rovina, non avere di continuo la testa altrove, lassù sulle rupi o nell’oltremare’.

Francesco Biamonti, da Le parole la notte