Il suo talento era naturale come il disegno tracciato dalla polvere sulle ali di una farfalla.
Ernest Hemingway
Francis Scott Fitzgerald nasce a St. Paul (Minnesota) il 24 settembre 1896 e muore a Hollywood il 21 dicembre 1940. Il padre era un gentiluomo del sud di scarsa fortuna economica, la madre di ascendenza cattolica e irlandese, figlia di un ricco commerciante. Grazie al nonno materno studiò alla Newman School (New Jersey) e poi a Princeton dove strinse durevole amicizia con Edmund Wilson, la sua “coscienza intellettuale”. Nel 1918 lasciò gli studi per arruolarsi nell’esercito. Incontrò a Motgomery (Alabama) Zelda Sayre, che divenne modello di tutte le “ragazze dorate” dei suoi racconti, e che sposò appena raggiunse i primi successi letterari. Fitzgerald divenne famoso e ricco, visse tra europa e america, tra Paris dove conobbe gli espatriati americani (Stein, Hemingway, Dos Passos), e New York in piena “età del jazz”. Nel 1921 nacque la figlia Scottie, iniziarono le difficoltà finanziarie e emotive di Fitzgerald, i sintomi della malattia mentale di Zelda che nel 1929 fu costretta a ricoveri sempre più frequenti in clinica (nel 1948 morì nell’incendio della clinica in cui viveva). Dimenticato, alcoolizzato, Fitzgerald tentò disperatamente di trovare un lavoro a Hollywood come sceneggiatore. La morte lo colse al lavoro.
Questa parte di paradiso (This side of paradise, 1920) fu il primo romanzo di Fitzgerald, tra autobiografia documento e favola, lo specchio in cui si riconobbe una generazione che aveva trovato “tutti gli dei morti, le guerre combattute, le possibilità di fede nell’uomo sconvolte”.
Belli e dannati (The beautiful and damned, 1922), ritratto di una coppia inquieta, è uno studio del sogno e del disincanto.
Il grande Gatsby (The great Gatsby, 1925), uno dei classici della letteratura americana, fu la rivelazione di un ingegno ormai maturo, capace di analizzare emozioni e motivazioni delle classi agiate e di indicarne l’implicita distruttività. La forza del romanzo è nella sua lucidità formale di narrazione «indiretta», che, secondo la lezione di James e di Conrad, affida a un «testimone» il compito di evocare il magico e drammatico percorso del mito americano.
In Tenera è la notte (Tender is the night, 1934) i grandi temi di F. – la felicità e lo spreco, il fascino e il denaro – trovano nuova enunciazione in un linguaggio fastoso e spettrale, in una tormentata struttura «aperta».
Nell’incompiuto Gli ultimi fuochi (The last tycoon, pubblicato nel 1941), oggetto, come Il grande Gatsby, di una versione cinematografica, l’analisi della sconfitta di un uomo di genio ha la suggestione di un testamento.
Tra le raccolte di racconti, in cui F. riprese temi e motivi dei romanzi, sono Storie dell’età del jazz (Tales of the jazz age, 1922) e La sveglia (Taps at reveille, 1935). L’età del jazz (The crack up, 1945) è una scelta postuma di saggi che comprende i tre drammatici documenti della crisi di F. scritti nel 1936 per «Esquire». Considerato soprattutto l’interprete dei «ruggenti anni Venti», F. è rimasto a lungo prigioniero della sua stessa leggenda di personaggio, più che di creatore.
In realtà ha scritto alcune tra le pagine più tese e perfette della prosa americana, caratterizzate da una raffinata economia compositiva, nel cui contesto ogni particolare, ogni immagine, ogni oggetto acquistano forza di simboli; e ha avuto, come nessun altro romanziere prima di lui, la capacità di rendere in termini poetici, con grande ricchezza di sfumature, il senso dell’esperienza americana, cogliendone l’oscura dimensione romantica.
(da: www.wuz.it)