Il vero cuore della poesia di Giorgio Caproni, sia in senso cronologico che nel senso della straordinaria qualità poetica e dell’intensissimo mondo affettivo, è il libro Il seme del piangere (1950-1958), uscito nel 1959 da Garzanti, che ora ritroviamo anche in Poesie 1932-1986, sempre di Garzanti, e nel Meridiano di Mondadori.
Il seme del piangere, dedicato alla madre Anna Picchi, l’indimenticabile Annina protagonista del libro, gli amatissimi “Versi livornesi”, è uno dei punti più alti in assoluto che la poesia italiana del Novecento abbia toccato, il più bel libro di poesia della seconda metà del Novecento.
Da leggere.
(1950-1958)
… udendo le sirene più forte,
pon giù il seme del piangere ed ascolta…
( Purgatorio XXXI 45-46)
PERCH’IO…
…perch’io, che nella notte abito solo,
anch’io, di notte, strusciando un cerino
sul muro, accendo cauto una candela
bianca nella mia mente – apro una vela
timida nella tenebra, e il pennino
strusciando che mi scricchiola, anch’io scrivo
e riscrivo in silenzio e a lungo il pianto
che mi bagna la mente…
Versi Livornesi
PREGHIERA (1)
Anima mia, leggera
va’ a Livorno, ti prego.
E con la tua candela
Timida, di nottetempo
fa’ un giro; e, se n’hai il tempo,
perlustra e scruta, e scrivi
se per caso Anna Picchi
è ancora viva tra i vivi.
Proprio quest’oggi torno,
deluso, da Livorno.
Ma tu, tanto più netta
di me, la camicetta
ricorderai, e il rubino
di sangue, sul serpentino
d’oro che lei portava
sul petto, dove s’appannava.
Anima mia, sii brava
e va’ in cerca di lei.
Tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada |
L’USCITA MATTUTINA (2)
Come scendeva fina
e giovane le scale Annina!
Mordendosi la catenina
d’oro usciva via
lasciando nel buio una scia
di cipria, che non finiva.
L’ora era di mattina
presto ancora albina.
Ma come s’illuminava
la strada dove lei passava!
Tutto Cors’Amedeo,
sentendola, si destava.
Ne conosceva il neo
sul labbro, e sottile
la nuca e l’andatura
ilare – la cintura
stretta, che acre e gentile
(Annina si voltava)
all’opera stimolava.
Andava in alba e in trina
pari a un’operaia regina.
Andava col volto franco
(ma cauto, e vergine, il fianco)
e tutta di lei risuonava
al suo tacchettio la contrada.
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BATTENDO A MACCHINA (4)
Mia mano, fatti piuma:
fatti vela; e leggera
muovendoti sulla tastiera
sii cauta. E bada, prima
di fermare la rima,
che stai scrivendo d’una
che fu viva e fu vera.
Tu sai che la mia preghiera
è schietta, e che l’errore
è pronto a stornare il cuore.
Sii arguta e attenta: pia.
Sii magra e sii poesia
se vuoi essere vita.
E se non vuoi tradita
la sua semplice gloria,
sii fine e popolare
come fu lei – sii ardita
e trepida, tutta storia
gentile, senza ambizione.
Allora sul Voltone,
ventilata in un maggio
di barche, se paziente
chissà che, con la gente,
non prenda aire e coraggio
anche tu al suo passaggio.
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LA GENTE SE L’ADDITAVA (7)
Non c’era in tutta Livorno
un’altra di lei più brava
in bianco, o in orlo a giorno.
La gente se l’additava
vedendola, e se si voltava
anche lei a salutare,
il petto le si gonfiava
timido, e le si riabbassava,
quieto nel suo tumultuare
come il sospiro del mare.
Era una personcina schietta
e un poco fiera ( un poco
magra), ma dolce e viva
nei suoi slanci; e priva
com’era di vanagloria
ma non di puntiglio, andava
per la maggiore a Livorno
come vorrei che intorno
andassi tu, canzonetta :
che sembri scritta per gioco,
e lo sei piangendo: e con fuoco. |
PER LEI (11)
Per lei voglio rime chiare,
usuali: in -are.
Rime magari vietate,
ma aperte: ventilate.
Rime coi suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline,
le tinte delle sue collanine.
Rime che a distanza
(Annina era così schietta)
conservino l’eleganza
povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili,
anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.
EPILOGO (17)
Annina è nella tomba.
Annina, ormai, è un’ombra.
E chi potrà più appoggiare
l’orecchio al suo petto, e ascoltare
come una volta il cuore,
timido, tumultuare?
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IL SEME DEL PIANGERE (20)
Quanta Livorno, nera
D’acqua e -di panchina- bianca!
Serduto sul Voltone,
o nel buio di un portone,
che lacrime nel bambino
che, debole come un cerino,
tutto l’intero giorno
aveva girato Livorno!
La mamma-più-bella-del-mondo
Non c’era più – era via.
Via la ragazza fina,
d’ingegno e di fantasia.
Il vento popolare
veniva ancora dal mare
Ma ormai chi si voltava
Più a guardarla passare?
Via era la camicetta
timida e bianca, viva.
Nessuna cipria copriva
l’odore vuoto del mare
sui Fossi, e il suo sciacquare. |