Italo Calvino nella sua raccolta di racconti Gli amori difficili parla d’amore, venti storie, venti avventure che testimoniano come l’amore sia in realtà il frutto di un esperimento combinatorio. Ciò che sta alla base di queste storie è una difficoltà di comunicazione, una zona di silenzio al fondo dei rapporti umani… Se queste sono, per la più parte, storie di come una coppia non s’incontra, nel loro non incontrarsi l’autore sembra far consistere non solo una ragione di disperazione ma pure un elemento fondamentale – se non addirittura l’essenza stessa – del rapporto amoroso.
La scelta del racconto è nata dalla sollecitazione di un articolo da cui riporto una citazione:
“Il fotografo sa bene che dopo aver fatto molti scatti acquista un «occhio fotografico»: si comincia a vedere la realtà attraverso un mirino, a ragionare con la logica della macchina fotografica, in termini di inquadratura, luce, profondità di campo, messa a fuoco, movimento e così via. Anche senza avere la macchina a portata di mano, il mondo si trasforma in un potenziale set fotografico.”
Il racconto L’avventura di un fotografo propone la vicenda erotico-filosofica di Antonino Paraggi, di mestiere “fattorino” ma per atteggiamento mentale “filosofo”, il quale, stupito dalla mania fotografica che sembra essersi impossessata dei suoi amici, come di larga parte degli italiani, cerca alla sua maniera una serie di risposte al fenomeno, rimanendone infine, a sua volta, vittima.
[…] solo allora quel torrente alpino, quella mossa del bambino col secchiello, quel riflesso di sole sulle gambe della moglie acquistano l’irrevocabilità di ciò che è stato e non può esser più messo in dubbio.
Estratto:
Con la primavera, a centinaia di migliaia, i cittadini escono la domenica con l’astuccio a tracolla. E si fotografano. Tornano contenti come cacciatori dal carniere ricolmo, passano i giorni aspettando con dolce ansia di vedere le foto sviluppate (ansia a cui alcuni aggiungono il sottile piacere delle manipolazioni alchimistiche nella stanza oscura, vietata alle intrusioni dei familiari e acre d’acidi all’olfatto), e solo quando hanno le foto sotto gli occhi sembrano prendere tangibile possesso della giornata trascorsa, solo allora quel torrente alpino, quella mossa del bambino col secchiello, quel riflesso di sole sulle gambe della moglie acquistano l’irrevocabilità di ciò che è stato e non può esser più messo in dubbio. Il resto anneghi pure nell’ombra insicura del ricordo.[…]
…Perché una volta che avete cominciato, – predicava, – non c’è nessuna ragione che vi fermiate. Il passo tra la realtà che viene fotografata in quanto ci appare bella e la realtà che ci appare bella in quanto è stata fotografata, è brevissimo. Se fotografate Pierluca mentre fa il castello di sabbia, non c’è ragione di non fotografarlo mentre piange perché il castello è crollato, e poi mentre la bambinaia lo consola facendogli trovare in mezzo alla sabbia un guscio di conchiglia. Basta che cominciate a dire di qualcosa: “Ah che bello, bisognerebbe proprio fotografarlo!” e già siete sul terreno di chi pensa che tutto ciò che non è fotografato è perduto, che è come se non fosse esistito, e che quindi per vivere veramente bisogna fotografare quanto più si può, e per fotografare quanto più si può bisogna: o vivere in modo quanto più fotografabile possibile, oppure considerare fotografabile ogni momento della propria vita. La prima via porta alla stupidità, la seconda alla pazzia.[…]
– Per chi vuole recuperare tutto ciò che passa sotto i suoi occhi, – spiegava Antonino anche se nessuno lo stava più a sentire, – l’unico modo d’agire con coerenza è di scattare almeno una foto al minuto, da quando apre gli occhi al mattino a quando va a dormire. Solo così i rotoli di pellicola impressionata costituiranno un fedele diario delle nostre giornate, senza che nulla resti escluso. Se mi mettessi a fotografare io, andrei fino in fondo su questa strada, a costo di perderci la ragione. Voi invece pretendete ancora di esercitare una scelta. Ma quale? Una scelta in senso idillico, apologetico, di consolazione, di pace con la natura la nazione i parenti. Non è soltanto una scelta fotografica, la vostra; è una scelta di vita, che vi porta a escludere i contrasti drammatici, i nodi delle contraddizioni, le grandi tensioni della volontà, della passione, dell’avversione. Così credete di salvarvi dalla follia, ma cadete nella mediocrità, nell’ebetudine. […]
– Bisogna ripartire di qua, – spiegò alle amiche. – nel modo in cui i nostri nonni si mettevano in posa, nella convenzione secondo la quale venivano disposti i gruppi, c’era un significato sociale, un costume, un gusto, una cultura. Una fotografia ufficiale o matrimoniale o familiare o scolastica dava il senso di quanto ogni ruolo o istituzione aveva in sé di serio e d’importante, ma anche di falso e di forzato, d’autoritario, di gerarchico. Questo è il punto: rendere espliciti i rapporti col mondo che ognuno di noi porta con sé, e che oggi si tendono a nascondere, a far diventare inconsci, credendo che in questo modo spariscano, mentre invece…
Qualsiasi persona tu decida di fotografare, o qualsiasi cosa, devi continuare a fotografarla sempre, solo quella, a tutte le ore del giorno e della notte. La fotografia ha un senso solo se esaurisce tutte le immagini possibili.
L’avventura di un fotografo, in Gli amori difficili, Italo Calvino. Oscar Arnaldo Mondadori Editore, 1993