Le “Lezioni americane – sei proposte per il prossimo millenio” sono l’ultimo lavoro di Italo Calvino. Pubblicate postume nel 1988 da Garzanti, sono i testi della conferenza che l’autore era stato invitato a tenere, primo italiano, presso la Harvard University per l’anno accademico 1985-86; sono le celebri e prestigiose “Charles Elion Norton Poetry Lectures” sulle quali artisti del calibro di Eliot, Stravinskij e Borges si erano cimentati nel corso degli anni. Il tema con il quale l’autore si trova a doversi confrontare è quello della comunicazione poetica, sotto tutte le sue forme artistiche, tema già altre volte affrontato nel corso della sua produzione saggistica ma, che in questo contesto particolare, quello della conferenza appunto, deve trovare una nuova formulazione, una nuova esposizione e, soprattutto, vista l’assoluta libertà e vastità del tema trattato, impone a Calvino, sempre così attento alla costruzione del lavoro letterario, il grande compito di dare concretezza e tangibilità a temi così astratti, senza ridurre il tutto ad un mero repertorio di citazioni e rimandi a opere proprie e altrui. Calvino concentra il nucleo del suo lavoro sul tema dei valori letterari da conservare nel nuovo millennio che si sarebbe aperto da lì a qualche anno, individuando sei caratteristiche da salvare e preservare: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità (la morte lo sorprese nel settembre del 1985, quando la sesta conferenza sulla Concistency non era ancora stata scritta, di cui rimangono solo appunti).
la fantasia è un posto dove ci piove dentro.
Estratto:
Leggerezza
…esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste …una leggerezza della frivolezza: anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca. (…)
Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta- filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite
Rapidità
Dato che in ognuna di queste conferenze mi sono proposto di raccomandare al prossimo millennio un valore che mi sta a cuore, oggi il valore che voglio raccomandare è proprio questo: in un’epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano d’appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, la funzione della letteratura è la comunicazione tra ciò che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensì esaltandone la differenza, secondo la vocazione propria del linguaggio scritto.
Il secolo della motorizzazione ha imposto la velocità come un valore misurabile, i cui records segnano la storia del progresso delle macchine e degli uomini. Ma la velocità mentale non può essere misurata e non permette confronti o gare, né può disporre i propri risultati in una prospettiva storica. La velocità mentale vale per sé, per il piacere che provoca in chi è sensibile a questo piacere, non per l’utilità pratica che si possa ricavarne. Un ragionamento veloce non è necessariamente migliore d’un ragionamento ponderato; tutt’altro; ma comunica qualcosa di speciale che sta proprio nella sua sveltezza. (…)
Nella vita pratica il tempo è una ricchezza di cui siamo avari; in letteratura, il tempo è una ricchezza di cui disporre con agio e distacco: non si tratta d’arrivare prima a un traguardo stabilito; al contrario l’economia di tempo è una buona cosa perché più tempo risparmiamo, più tempo potremo perdere. La rapidità dello stile e del pensiero vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura; tutte qualità che s’accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all’altro, a perdere il filo cento volte e a ritrovarlo dopo cento giravolte. (…)
Come per il poeta in versi così per lo scrittore in prosa, la riuscita sta nella felicità dell’espressione verbale, che in qualche caso potrà realizzarsi per folgorazione improvvisa, ma che di regola vuol dire una paziente ricerca del “mot juste”, della frase in cui ogni parole è insostituibile, dell’accostamento di suoni e di concetti più efficace e denso di significato.
Esattezza
mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto.
La letteratura – dico la letteratura che risponde a queste esigenze – è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere. Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze.
Visibilità
C’è un verso di Dante nel Purgatorio (XVII, 25) che dice “Poi piovve dentro a l’alta fantasia”. La mia conferenza di stasera partirà da questa constatazione: la fantasia è un posto dove ci piove dentro.
Occorre definire cos’è l’immaginazione, cosa che Dante fa in due terzine (XVII, 13-18).
O immaginazione, che hai il potere d’importi alle nostre facoltà e alla nostra volontà e di rapirci in un mondo interiore strappandoci al mondo esterno, tanto che anche se suonassero mille trombe non ce ne accorgeremmo, da dove provengono i messaggi visivi che tu ricevi, quando essi non sono formati da sensazioni depositate nella memoria?
Possiamo distinguere due tipi di processi immaginativi: quello che parte dalla parola e arriva all’immagine visiva e quello che parte dall’immagine visiva e arriva all’espressione verbale. Il primo processo è quello che avviene normalmente nella lettura.(…)
Da dove “piovono” le immagini nella fantasia? (…)
Gli scrittori più vicini a noi stabiliscono collegamenti con emittenti terrene, come l’inconscio individuale o collettivo, il tempo ritrovato nelle sensazioni che riaffiorano dal tempo perduto, le epifanie o concentrazioni dell’essere in un singolo punto o istante.
Quando ho cominciato a scrivere storie fantastiche non mi ponevo ancora problemi teorici; l’unica cosa di cui ero sicuro era che all’origine d’ogni mio racconto c’era un’immagine visuale. (…)
Dunque nell’ideazione di un racconto la prima cosa che mi viene alla mente è un’immagine che per qualche ragione mi si presenta come carica di significato, anche se non saprei formulare questo significato in termini discorsivi o concettuali.
Appena l’immagine è diventata abbastanza netta nella mia mente, mi metto a svilupparla in una storia, o meglio, sono le immagini stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il racconto che esse portano dentro di sé. Attorno a ogni immagine ne nascono delle altre, si forma un campo di analogie, di simmetrie, di contrapposizioni. Nell’organizzazione di questo materiale che non è più solo visivo ma anche concettuale, interviene a questo punto anche una mia intenzione nell’ordinare e dare un senso allo sviluppo della storia…
Oggi siamo bombardati da una tale quantità d’immagini da non saper più distinguere l’esperienza diretta da ciò che abbiamo visto per pochi secondi alla televisione. La memoria è ricoperta da strati di frantumi d’immagini come un deposito di spazzatura, dove è sempre più difficile che una figura tra le tante riesca ad acquistare rilievo.
Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini.
Molteplicità
L’eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverabile in molti campi d’attività, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obbiettivi smisurati, anche al di là d’ogni possibilità di realizzazione. Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. Da quando la scienza diffida delle spiegazioni generali e delle soluzioni che non siano settoriali o specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo.”
[…] magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self, un’opera che ci permettesse d’uscire dalla prospettiva limitata d’un io individuale, non solo per entrare in altri io simili al nostro, ma per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica…
Appendice. Cominciare e finire
Abbiamo a disposizione tutti i linguaggi: quelli elaborati dalla letteratura, gli stili in cui si sono espressi individui e civiltà nei vari secoli e paesi, e anche i linguaggi elaborati dalle discipline più varie, finalizzati a raggiungere le più varie forme di conoscenza: e noi vogliamo estrarne il linguaggio adatto a dire ciò che vogliamo dire, il linguaggio che è ciò che vogliamo dire.
Italo Calvino, Lezioni americane – sei proposte per il prossimo millennio
“Una delle riflessioni più importanti a livello mondiale sul destino della letteratura nel passaggio epocale fra tradizione e futuro”.
Alberto Asor Rosa