Gian Maria Annunziata
Benché sia ricordato come l’autore di un solo, immenso, romanzo intitolato “Alla ricerca del tempo perduto”, lo scrittore francese Marcel Proust è tra i grandi protagonisti della letteratura del XX secolo, proprio per questa sua opera, costruita per scene e immagini improvvise che si collegano e si richiamano, come quadri di un ciclo pittorico.
Alla base della sua poetica, i temi della vocazione artistica, del senso del tempo e della bellezza nell’arte e nella vita, che si ritrovano in “Pittori”: un elegante libretto che raccoglie i brevi saggi che Marcel Proust dedicò ai maestri della pittura da lui amati per tutta la vita. I “Pittori”, Chardin, Watteau, Moreau, Monet e Rembrandt, sono quattro francesi e un olandese, di cui lo scrittore ama lo stile e indaga la personalità, tracciandone dei ritratti appassionati e dei profili critici esemplari per lo spirito di osservazione, l’acume di giudizio e l’assenza di algidi tecnicismi.
Dinanzi a “La razza” di Chardin, ci rendiamo conto che ciò che chiamiamo impropriamente natura morta è un momento presente, un istante infinito fermato sulla tela. Contempliamo una scena di vita sospesa nel tempo e incompiuta, perché possiamo immaginare cosa sia accaduto prima e prevederne lo sviluppo, privi tuttavia della sua certezza.
La natura morta ha dunque qualche mistero da rivelare e, se per qualche tempo, guarderemo un quadro di questo genere, o qualsiasi altro dipinto, esercitandoci a osservare e apprendendo a vedere, come fa Proust, comprenderemo il valore della pittura e presto sapremo cogliere, ritrovare, tramandare la bellezza varia e vitale del mondo e della quotidianità.
Tutto ciò vi sembra ora bello da vedere perché a Chardin apparve bello da dipingere.
Estratto:
Tutto ciò vi sembra ora bello da vedere perché a Chardin apparve bello da dipingere. E gli sembrò tale perché lo giudicava bello da vedere.
Il piacere che vi dà la sua raffigurazione pittorica d’una stanza in cui si lavori, d’una cucina, di una credenza è, colto al suo passaggio, affrancato dall’istante, approfondito, eternato, il piacere che gli dava la vista di una credenza, d’una cucina,d’una stanza in cui si lavori.
Seguitemi ora sino alla cucina, il cui ingresso è severamente guardato dalla tribù dei recipienti di ogni grandezza, servi abili e fedeli, razza laboriosa e bella. Sulla tavola, i coltelli attivi, che vanno dritti al loro scopo, riposano in un ozio minaccioso e inoffensivo. Ma, sopra di voi, pende dalla parete un mostro strano ancora fresco come il mare in cui ondeggiò, una razza, la cui vista mescola, al desiderio della ghiottoneria, il fascino singolare della bonaccia o dei fortunali di cui fu la formidabile testimone. Essa è sparata; e voi potete ammirare la bellezza della sua architettura delicata e grandiosa, colorata di sangue rosso, di nervature turchine e di muscoli bianchi, come la navata d’una cattedrale policroma. Accanto a essa, nell’abbandono della loro morte, dei pesci giacciono bocconi, con gli occhi sporgenti dalle orbite, piegati in una contorsione rigida e disperata.
Poi, ostriche e un gatto che muove con una fretta lenta il velluto delle sue zampe sulle ostriche, palesando a un tempo la prudenza del suo carattere, la cupidigia del suo palato e la temerità del suo tentativo. L’occhio, cui piace giocare con gli altri sensi e ricostituire, con l’aiuto di alcuni colori, più che tutto un passato, tutto un avvenire, sente già la frescura delle ostriche che stanno per bagnare le zampe del gatto; e già si avverte, nel momento in cui l’ammasso precario delle fragili madreperle rovinerà sotto il peso dell’animale, il lieve stridore del loro fendersi e il tuono della loro caduta.
Il piacere che vi dà la sua raffigurazione pittorica d’una stanza in cui si lavori, d’una cucina, di una credenza è, colto al suo passaggio, affrancato dall’istante, approfondito, eternato, il piacere che gli dava la vista di una credenza, d’una cucina,d’una stanza in cui si lavori.
Seguitemi ora sino alla cucina, il cui ingresso è severamente guardato dalla tribù dei recipienti di ogni grandezza, servi abili e fedeli, razza laboriosa e bella. Sulla tavola, i coltelli attivi, che vanno dritti al loro scopo, riposano in un ozio minaccioso e inoffensivo. Ma, sopra di voi, pende dalla parete un mostro strano ancora fresco come il mare in cui ondeggiò, una razza, la cui vista mescola, al desiderio della ghiottoneria, il fascino singolare della bonaccia o dei fortunali di cui fu la formidabile testimone. Essa è sparata; e voi potete ammirare la bellezza della sua architettura delicata e grandiosa, colorata di sangue rosso, di nervature turchine e di muscoli bianchi, come la navata d’una cattedrale policroma. Accanto a essa, nell’abbandono della loro morte, dei pesci giacciono bocconi, con gli occhi sporgenti dalle orbite, piegati in una contorsione rigida e disperata.
Poi, ostriche e un gatto che muove con una fretta lenta il velluto delle sue zampe sulle ostriche, palesando a un tempo la prudenza del suo carattere, la cupidigia del suo palato e la temerità del suo tentativo. L’occhio, cui piace giocare con gli altri sensi e ricostituire, con l’aiuto di alcuni colori, più che tutto un passato, tutto un avvenire, sente già la frescura delle ostriche che stanno per bagnare le zampe del gatto; e già si avverte, nel momento in cui l’ammasso precario delle fragili madreperle rovinerà sotto il peso dell’animale, il lieve stridore del loro fendersi e il tuono della loro caduta.
Marcel Proust, Pittori – Traduzione di Paolo Serini