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Fuochi – Marguerite Yourcenar

Fuochi

Fuochi” non è propriamente un libro di giovinezza: è stato scritto nel 1935; avevo 32 anni. L’opera pubblicata nel 1936, è riapparsa nel 1957 quasi senza ritocchi. Nato da una crisi passionale, “Fuochi” si presenta come una raccolta di poesie d’amore, o, se si preferisce, come una serie di prose liriche collegate fra di loro sulla base di una certa nozione dell’amore. Come tale, l’opera non ha bisogno di commenti, in quanto l’amore totale, imponendosi alla vittima come malattia e insieme come vocazione, è da sempre una realtà dell’esperienza e un tema tra i più visitati della letteratura.
Si può tutt’al più ricordare che ogni amore vissuto, come quello che ha dato origine al libro, si fa e poi si disfa all’interno di una determinata situazione, grazie a un complesso miscuglio di sentimenti e di circostanze che in un romanzo formerebbero la trama stessa della vicenda mentre in una poesia sono il punto di partenza del canto. In “Fuochi”, questi sentimenti e queste circostanze si esprimono ora direttamente, ma molto criticamente, in “pensieri” isolati che all’inizio erano appunti di diario, ora invece indirettamente, con racconti tratti dalla leggenda e della storia e destinati a offrire un sostegno al poeta attraverso i tempi.
Dalla Prefazione dell’autrice

Bruciato da più fuochi. Bestia stanca,
uno staffile di fiamme mi colpisce le reni.
Ho ritrovato il senso vero delle metafore
dei poeti: mi sveglio ogni notte
nell’incendio del mio stesso sangue



 Estratto
:

Io non sarò mai vinta. Non lo sarò che a forza di vincere. Poiché ogni trappola evitata mi rinchiude nell’amore che finirà per essere la mia tomba, finirò la mia vita in una segreta di pure vittorie. Sola, la disfatta trova chiavi, apre porte. Per raggiungere il fuggiasco, la morte deve mettersi in movimento, perdere quella fissità che ci fa riconoscere in lei il duro contrario della vita. Ci offre la fine del cigno colpito in pieno volo, di Achille afferrato per i capelli da chissà quale oscura Minerva. Come per la donna asfissiata nel vestibolo della sua casa a Pompei, la morte non fa che prolungare nell’altro mondo i corridoi della fuga. Per me, la morte sarà di pietra. Conosco le passerelle, i ponti girevoli, le trappole, tutte le zappe della Fatalità. Non mi ci posso perdere. La morte, per uccidermi, avrà bisogno della mia complicità.
Non esiste un amore infelice: non si possiede se non ciò che non si possiede. Non esiste un amore felice: ciò che si possiede non lo si possiede più.
Non c’è nulla da temere. Ho toccato il fondo. Non posso cadere più in basso del tuo cuore.
**
*
Non darsi più, è darsi ancora. Significa dare il proprio sacrificio.
Nulla di più improprio dell’amor proprio.
Il delitto del pazzo è quello di preferirsi. Quest’empia preferenza mi ripugna in quelli che uccidono e mi spaventa in quelli che amano. La creatura amata non è più, per quel genere di avari, che una moneta d’oro su cui artigliare le dita. Non è più di un dio: è appena una cosa. Mi rifiuto di fare di te un oggetto, quand’anche fosse l’Oggetto Amato.
L’unico orrore è di non servire. Fai di me ciò che vorrai, uno schermo magari, magari del metallo buon conduttore. Tu potresti sprofondare in blocco in quel nulla dove scompaiono i morti: io mi consolerei se tu mi lasciassi l’eredità delle tue mani. Soltanto le tue mani sopravvivrebbero, scisse da te, inesplicabili come quelle degli dei di marmo diventati polvere e calce della loro stessa tomba. Sopravvivrebbero ai tuoi atti, ai corpi miserabili che hanno accarezzato. Non servirebbero più da intermediarie fra le cose e te: sarebbero mutate loro stesse in cose. Ridiventate innocenti, dal momento che non ci saresti più tu a farle tue complici, tristi come levrieri senza padrone sconcertate, come arcangeli a cui nessun dio dirami più ordini, le tue mani inutili riposerebbero sulle ginocchia delle tenebre. Le tue mani aperte, incapaci di dare o di prendere una gioia qualsivoglia, mi avrebbero lasciata cadere come una bambola rotta. Io bacio, all’altezza del polso, quelle mani indifferenti che la tua volontà non scosta più dalle mie; accarezzo l’arteria azzurra, quella colonna di sangue che un tempo sorgeva incessante come lo zampillo di una fontana dal suolo del tuo cuore. Con brevi singhiozzi soddisfatti io abbandono il capo come nell’infanzia fra quelle palme piene di stelle, di croci, di precipizi di ciò che fu il mio destino.
Non ho paura degli spettri. I vivi sono terribili soltanto perché hanno un corpo.
Non esistono amori sterili. Le precauzioni non servono a niente. Quando ti lascio, il dolore sta al fondo del mio essere come una specie di orribile figlio.
**
*

Ho conosciuto dei giovani che venivano dal mondo degli dei. I loro gesti facevano pensare alle traiettorie degli astri; non ci si stupiva che il loro duro cuore di porfido fosse insensibile; se tendevano la mano, la rapacità di quei mendicanti squisiti era un vizio da dei. Come tutti gli dei, rivelavano inquietanti parentele con i lupi, gli sciacalli, le vipere: ghigliottinati, avrebbero assunto l’aspetto livido dei marmi decapitati. Certe donne, certe fanciulle provengono dal mondo delle Madonne: le peggiori allattano la speranza come un figlio promesso alle crocifissioni future. Alcuni miei amici provengono dal mondo dei saggi, da una sorta di India o di Cina interiore: l’universo intorno a loro si dissipa in fumo, accanto a quei freddi stagni in cui si rispecchia l’immagine delle cose, gli incubi si aggirano come tigri addomesticate. Amore, mio duro idolo, le tue braccia tese verso di me sono vertebre di ali. Ho fatto di te la mia Virtù; in te accetto di vedere una Dominazione una Potenza. Mi affido a quel terribile aereo alimentato da un cuore. La sera, in quegli antri malfamati dove ci trascinavamo insieme, il tuo corpo nudo sembra un Angelo incaricato di vegliare sulla tua anima.
Mio Dio, rimetto il mio corpo fra le tue mani. 
Si dice: pazzo di gioia. Si dovrebbe dire: savio di dolore.
Possedere è l’equivalente di conoscere: la Scrittura ha sempre ragione. L’amore è stregone: sa i segreti, è rabdomante, sa le sorgenti. L’indifferenza è guercia, l’odio è cieco; incespicano a fianco a fianco nel fossato del disprezzo. L’indifferenza ignora; l’amore sa; va compitando la carne. Bisogna godere di una creatura per aver l’occasione di contemplarla nuda. Ho dovuto amarti per capire che la peggiore o la più mediocre delle persone umane è degna di ispirare lassù l’eterno sacrificio di Dio.
Sei giorni fa, sei mesi fa, erano sei anni allora, e fra dieci secoli… Ah! morire per fermare il Tempo…
**
*
L’amore è un castigo. Veniamo puniti per non essere riusciti a rimanere soli.
Bisogna amare un essere per correre il rischio di soffrire per lui. Bisogna amarti molto per rimanere capace di soffrirti. 
Non posso impedirmi di vedere nel mio amore una forma raffinata di dissolutezza, uno stratagemma per passare il tempo, per negare il Tempo. 
Il piacere compie in pieno cielo un atterraggio forzato, nel folle stridore meccanico degli ultimi sussulti del cuore. In volo planato, vi sale la preghiera; l’anima vi trascina il corpo nell’assunzione dell’amore. 
Tu hai quello che ci vuole di bellezza, di accecamento e di esigenze per sembrare un Onnipotente. 
In mancanza di meglio, ho fatto di te la chiave di volta del mio universo.

Marguerite Yourcenar, Fuochi – Traduttrice Maria Luisa Spaziani.