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Mille anni che sto qui – Mariolina Venezia

Mille anni che sto quiMille anni che sto qui è un libro molto bello, intenso, appassiona e si legge d’un fiato. Nel 2007 vince il Premio Campiello e il Premio Nazionale di Narrativa Maria Teresa Di Lascia. Il romanzo  è ambientato nella Basilicata più arcaica e profonda del nostro Sud, Grottole.  La saga attraversa più di un secolo, dall’Unità d’Italia alla caduta del muro di Berlino. Una storia fatta di padri, madri, figli, figlie, dolori, amori, passioni e tradimenti. La narrazione riguarda le vicende straordinarie e quotidiane dei Falcone, una famiglia lucana cui il destino dona tutto e non risparmia niente, dalla guerra all’emigrazione, dalla fame alla ricchezza, passando per scandali pubblici e furori individuali. Dal capostipite Don Francesco con i suoi barili d’oro sepolti e mai più ritrovati alla piccola Gioia che fugge di casa un secolo dopo per dimenticare tutto e tutti, mille e ancora mille storie d’amore, morte, gelosia, amicizia, mentre intorno infuriano le tempeste della Storia e si susseguono le generazioni passandosi silenziosamente il testimone. 

La letteratura non li aveva mai interessati particolarmente, ma un volumetto con la copertina consunta attirò la loro attenzione a causa del titolo. Si immaginarono una storia avvincente di delitti. Quando lo diedero al librario per pagarlo, quello li guardò con un sorrisetto, sul momento non capirono perché. L’autore si chiamava Dostoevskij. Il libro Delitto e Castigo.

Estratto:

[Rocco] L’unico con cui fece amicizia fu Mimmo. Accomunati dalla necessità di tradire se stessi o le persone che più amavano, titolari di un destino che avrebbero voluto scambiarsi, trovavano conforto condividendo le loro incertezze.
Insieme un giorno di libera uscita entrarono per caso in una libreria che vendeva libri usati. La letteratura non li aveva mai interessati particolarmente, ma un volumetto con la copertina consunta attirò la loro attenzione a causa del titolo. Si immaginarono una storia avvincente di delitti. Quando lo diedero al librario per pagarlo, quello li guardò con un sorrisetto, sul momento non capirono perché. L’autore si chiamava Dostoevskij. Il libro Delitto e Castigo.
Da allora ci tornarono tutte le settimane. Rivendevano un libro, ne compravano un’altro..
Conobbero così un mondo che non avevano mai neppure immaginato, spesso  pieno di sofferenze non meno di quello in cui vivevano, ma dove c’era sempre una speranza, o un significato, o una possibilità di cambiamento. Era un concetto per loro completamente nuovo, che apriva infinite prospettive e nello stesso tempo li privava di ogni sicurezza. Si inoltravano nell’adolescenza come treni deragliati, scavandosi intorno, quelle distanze che li avrebbe separati per sempre dal resto del mondo, o perlomeno dal loro mondo. 
Conobbero l’Inghilterra di bambini ladri e derelitti, L’America di titaniche lotte con la natura, Parigi,  meta ambita dei loro tormentati nobili russi e patria di certi pruriginosi romanzetti che li avevano iniziati ai misteri del sesso. Fecero il patto che un giorno ci sarebbero andati anche loro.
[…]
Rocco aveva tentato in tutti i modi di dirle che in altitalia le possibilità di vincere il concorso erano maggiori. Aveva tentato di spiegarle cosa fosse un concorso. E mille altre cose. Non si capivano. Non capivano le parole che usavano, e le cose cui si riferivano. Rocco parlava ormai a sua madre di un mondo che le era completamente estraneo. L’unica cosa che Lucrezia capiva era il dolore di averlo perso. Non l’avesse fatto studiare, avrebbero parlato la stessa lingua.

Rocco partì per Reggio Emilia che c’era il sole. […]
Quel maestro della bassitalia l’era propria stran! Sembrava avere a cuore non i primi della classe, il figlio del sindaco, del dottore o del farmacista, ma i ciuchi, i ripetenti,  quelli che gli altri maestri educavano a suon di bacchettate e respingevano negli ultimi banchi per non offendersi la vista. Rocco non aveva occhi che per quei pidocchiosi con le mani piene di calli, incapaci di tenere un pennino senza spezzargli la punta…
Se qualcuno saltava un giorno sì e uno no e un’altro mancava da mesi, non ci metteva una croce sopra, non lo sospendeva, non lo minacciava di espulsione. Appena poteva, però, si presentava di persona a casa sua e mercanteggiava come se fosse alla fiera. Se avessero mandato il figlio a scuola, diceva ai familiari, avrebbero saputo come rispondere ai padroni che facevano i conti sempre a modo loro, e chissà come avevano sempre da prendere e mai da dare.
Lo ascoltavano con cortesia divertita, gli rispondevano in un dialetto di cui non capiva quasi nulla, e gli offrivano un bicchiere di vino qualunque ora fosse. L’è sangiovese, l’è bon, la fa bon sang. Si convincevano una settimana o due, poi appena nei campi c’era bisogno di braccia ricominciavano come avevano sempre fatto. Rocco tornava all’attacco, e andavano avanti così finchè non finiva l’anno.
Riscattare dall’analfabetismo i cinquanta ragazzi della sua classe era la sua personale guerra di colonizzazione, combattuta non in nome dello spirito fascista, come prescrivevano i programmi, ma di certi ricordi che nemmeno sapeva più di avere…
La sera si rifugiava nei libri e il giorno dopo cercava disperatamente di trasmettere ai suoi allievi l’amore per la lettura. Ma miracoli ne succedevano pochi. Per un ragazzo che cominciava a interessarsi c’erano dieci, venti o trenta che continuavano a spintonarsi sottobanco, preparando spensieratamente, con le loro mani, la trappola che li avrebbe imprigionati appena alle soglie dell’età adulta.

Mariolina Venezia,  Mille anni che sto qui