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Fahrenheit 451 – Ray Bradbury

Scritto nel 1951 con il titolo “The Fireman” e pubblicato nel 1953, Fahrenheit 451 è indubbiamente il capolavoro che colloca Ray Bradbury tra i massimi scrittori di fantascienza. Il titolo indica la temperatura alla quale brucia la carta – nel Sistema Internazionale, circa 233° C.

Fahrenheit 451 - Ray Bradbury

Il romanzo, del tutto originale, ci porta a riflettere sulla maestosità della nostra cultura e sull’enorme ricchezza che racchiudono i libri.

La storia descrive un ipotetico mondo futuro in cui il potere è amministrato mediante un’unica e semplice regola: il divieto di leggere e possedere libri.

A garantirne l’applicazione, un efficiente corpo di “pompieri-incendiari” che non disdegnano violenza e omicidio pur di rispettare la propria missione ma che non si chiedono nemmeno perché.

E’ questa in effetti la caratteristica principale degli abitanti di questo mondo futuro: nessuno si fa domande. Apparentemente felici, amano la velocità e l’azione, vivono attorniati da personaggi televisivi a grandezza naturale che scambiano per la propria famiglia e, pur di non rimanere da soli con i propri pensieri, hanno sempre auricolari ronzanti nelle orecchie.

E’ quindi con il divertimento che, di fatto, gli uomini sono ridotti a meri fantocci non-pensanti, superficiali, non più in grado nemmeno di distinguere il confine tra realtà e finzione.

Un romanzo che disorienta,  perché i tratti del mondo descritto assomigliano alla realtà che ci circonda, in cui i libri non si leggono non per legge ma per scelta e spesso sono sostituiti da divertimenti di più facile consumo.

 Il libro è scorrevole e si legge d’un fiato; ogni pagina  offre elementi di riflessione e conoscenza.

Da leggere, rileggere e consigliare agli amici.

Vagabondi all’esterno, biblioteche dentro. Non è una cosa che sia stata progettata fin dal principio. Ognuno aveva un libro che voleva ricordare e che ha ricordato. Quindi, per un periodo di circa vent’anni, ci siamo incontrati, durante le nostre peregrinazioni, connettendo così la nostra amplissima ed elastica rete e gettando le basi di un piano.  Non siamo che sopra-coperte di volumi, privi d’ogni altra importanza che non sia quella d’impedire alla polvere di seppellire i volumi.


Estratto:

Non sono i libri che vi mancano ma alcune delle cose che un tempo erano nei libri.
I libri erano soltanto una specie di veicolo, di ricettacolo in cui riponevamo tutte le cose che temevamo di dimenticare. Non c’è nulla di magico, nei libri; la magia sta solo in ciò che essi dicono, nel modo in cui hanno cucito le pezze dell’Universo per mettere insieme un mantello di cui rivestirci.[..]

Tre cose ci mancano:
«Numero uno: sapete perché libri come questo siano tanto importanti? Perché hanno sostanza. Che cosa significa in questo caso “sostanza”? Per me significa struttura, tessuto connettivo. Questo libro ha pori, ha caratteristiche sue proprie, è un libro che si potrebbe osservare al microscopio. Trovereste che c’è della vita sotto il vetrino, una vita che scorre come una fiumana in infinita profusione. Maggior numero di pori, maggior numero di particolarità della vita per centimetro quadrato avrete su di un foglio di carta, e più sarete “letterario”. Questa è la mia definizione, ad ogni modo. Scoprire le particolarità. Particolarità nuove! I buoni scrittori toccano spesso la vita. I mediocri la sfiorano con una mano fuggevole. I cattivi scrittori la sforzano e l’abbandonano. Capite ora perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, facce senza pori, senza peli, inespressive. Viviamo in un tempo in cui i fiori tentano di vivere sui fiori, invece di nutrirsi di buona pioggia e di fertile limo nero. Perfino i fuochi artificiali, nonostante tutta la loro eleganza, nascono dalla chimica della terra. Eppure, non so come, riusciamo a credere di poterci evolvere nutrendoci di fiori e di giuochi pirotecnici, senza conchiudere il ciclo del ritorno alla realtà. Conoscete la leggenda di Ercole e Anteo, il lottatore gigantesco, dalla forza incredibile, finché fosse rimasto coi piedi sulla terra? Ma quando Anteo fu tenuto da Ercole sospeso nel vuoto, senza radici egli perì facilmente. Se in questa leggenda non c’è un insegnamento per noi di questi tempi, in questa città, oggi, allora vuol dire che sono del tutto pazzo. Insomma, questa è la prima cosa delle tre che ci mancano. Sostanza, tessuto di elementi vitali.»
«E la seconda?»
«Agio, tempo libero.»
«Oh, ma noi abbiamo molte ore libere ogni giorno.»
«Ore libere dal lavoro, sì. Ma tempo di pensare? Quando non conducete
la vostra macchina a cento miglia all’ora, a un massimo in cui non potete pensare ad altro che al pericolo, allora ve ne state a giocare a carte o sedete in qualche salotto, dove non potete discutere col televisore a quattro pareti. Perché? Il televisore è “reale”, è immediato, ha dimensioni. Vi dice lui quello che dovete pensare, e ve lo dice con voce di tuono. Deve aver ragione, vi dite: sembra talmente che l’abbia! Vi spinge con tanta rapidità e irruenza alle sue conclusioni che la vostra mente non ha tempo di protestare, di dirsi: “Quante sciocchezze!”.»
«Ma la “famiglia” è gente in carne e ossa.»
«Come, scusate?»
«Mia moglie dice che i libri non sono “reali”.»
«E Dio sia lodato per questo. Li si può almeno chiudere, dire: “Aspetta un momento”. Potete farne ciò che volete. Ma chi mai è riuscito a strapparsi dall’artiglio che v’imprigiona quando mettete piede in salotto TV? Vi foggia secondo la foggia che esso più desidera! L’ambiente in cui vi chiude è reale come il mondo. Diviene e pertanto è la verità. I libri possono essere battuti con la ragione. Ma nonostante tutto quello che so e tutto il mio scetticismo, non sono mai stato capace di discutere con un’orchestra sinfonica di cento elementi, a tutto colore, tre dimensioni e facente parte integrale, costitutiva di questi incredibili salotti. Come vedete, il mio salotto non è costituito che di quattro semplici pareti di calce e mattoni. E qui.» Mostrò a Montag due piccoli tamponi di gomma. «Per le mie povere orecchie, quando sono sui bolidi della ferrovia sotterranea.»
«Dentifricio Denham» disse Montag, a occhi chiusi. «Dove andremo a finire? I libri potranno esserci di aiuto?»
«Soltanto se potremo avere la terza cosa che ci manca. La prima, come ho detto, è sostanza, identificazione della vita. La seconda, agio, tempo di pensare a questa identificazione, di assimilare la vita. La terza: diritto di agire in base a ciò che apprendiamo dall’influenza che le prime due possono esercitare su di noi. E non credo che un vecchio decrepito e un milite incendiario in rivolta possano far molto, al punto in cui siamo…

[…] «Penso di essere stato un demente a cercare di ottenere le cose coi miei metodi, seminando libri nelle case degli incendiari per poi denunciarli.»
«Tu hai fatto quello che dovevi fare. Il sistema, se applicato su scala nazionale, avrebbe dato ottimi risultati. Ma il nostro metodo è più semplice e, crediamo, migliore. Tutto quello che vogliamo fare è conservare intatta, al sicuro, la cultura che pensiamo ci occorrerà. Non abbiamo nessuna intenzione per il momento di incitare o infuriare chicchessia. Perché se saremo uccisi, la cultura sarà distrutta forse definitivamente. Noi siamo cittadini modello, nel nostro modo speciale; percorriamo gli antichi binari, dormiamo la notte sulle colline e la popolazione delle città ci lascia vivere. Ogni tanto, siamo fermati e frugati, ma non abbiamo nulla sulle nostre persone che possa incriminarci. La nostra organizzazione è flessibile, molto elastica e articolata; alcuni di noi hanno subìto interventi di chirurgia plastica al volto e ai polpastrelli. Ora abbiamo un compito orribile a cui attendere: aspettare che la guerra cominci ad essere combattuta e con la stessa rapidità giunga alla sua consumazione. Non è piacevole, ma d’altra parte noi siamo il Governo, noi siamo la minoranza degli strambi che gridano nel deserto. Quando la guerra sarà finita, forse potremo essere di qualche utilità al mondo.»
«Credi davvero che allora il mondo ascolterà?»
«Se non ascolterà, dovremo semplicemente aspettare ancora. Trasmetteremo i libri ai nostri figli, oralmente, e lasceremo ai nostri figli il compito di fare altrettanto coi loro discendenti. Naturalmente, molte cose andranno perdute, con questo sistema. Ma non puoi obbligare la gente ad ascoltare, se non vuole. Dovrà tuttavia venire a noi a suo tempo, chiedendosi che cosa esattamente sia accaduto e perché il mondo sia scoppiato in aria sotto il suo governo. Non può durare così.»
«Ma in quanti siete voi altri?»
«A migliaia, sulle autostrade, lungo le ferrovie abbandonate, vagabondi all’esterno, biblioteche dentro. Non è una cosa che sia stata progettata fin dal principio. Ognuno aveva un libro che voleva ricordare e che ha ricordato. Quindi, per un periodo di circa vent’anni, ci siamo incontrati, durante le nostre peregrinazioni, connettendo così la nostra amplissima ed elastica rete e gettando le basi di un piano. La cosa più importante che abbiamo dovuto piantarci duramente in testa fu che noi non contavamo, non eravamo importanti, non dovevamo considerarci e non dovevamo essere dei maestri: non dovevamo sentirci superiori a nessuno al mondo. Non siamo che sopra-coperte di volumi, privi d’ogni altra importanza che non sia quella d’impedire alla polvere di seppellire i volumi. Alcuni dei nostri vivono in piccole città, in paesi e villaggi: il Capitolo primo, il Walden di Thoreau, abita a Green River, il Capitolo secondo a Willow Farm, Maine; diamine, c’è un paesino nel Maryland, con soltanto ventisette abitanti, nessuna bomba colpirà mai quel villaggio, che rappresenta la raccolta completa dei Saggi di un uomo chiamato Bertrand Russell.

E quando la guerra sarà finita, uno di questi giorni, o uno di questi anni, si potranno riscrivere i libri, e la gente sarà chiamata, le persone verranno a una a una a recitare quello che sanno e noi ristamperemo ogni cosa, fino a quando le tenebre di un nuovo Medio Evo non ci costringeranno a ricominciare tutto da capo. Ma questa è la cosa meravigliosa dell’uomo: che non si scoraggia mai, l’uomo, o non si disgusta mai fino al punto di rinunciare a rifar tutto da capo, perché sa, l’uomo, quanto tutto ciò sia importante e quanto valga la pena di essere fatto.»

Dal libro “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, 1953